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Sento spesso parlare dell’olio di palma e dei possibili pericoli derivanti dal suo utilizzo nei prodotti alimentari. Cosa c’è di vero? Perché viene utilizzato tanto?

È probabile che negli ultimi due anni siamo incappati in articoli, post, talk show che hanno parlato dell’olio di palma, proponendo tesi e posizioni molto diverse, a volte antitetiche, a seconda se a parlarne erano le associazioni dei consumatori piuttosto che le multinazionali dell’alimentazione.

Il risultato di questo lungo ed articolato dibattito è stato che la maggior parte delle industrie alimentari europee hanno abbandonato l’utilizzo dell’olio di palma sostituendolo con altri grassi alimentari, evidenziando sulle confezioni in maniera più o meno evidente la dicitura “senza olio di palma” che ormai viene percepita dai consumatori come una condizione di maggior salubrità e sostenibilità ambientale.

Possiamo, quindi, fare un excursus del dibattito che c’è stato, senza dover per forza prendere le parti dei detrattori o dei sostenitori dell’olio di palma, in quanto ormai il mercato – almeno quello occidentale – ha preso la decisione di ridurre l’utilizzo dell’olio di palma, rispetto alla quale sarà molto improbabile tornare indietro.

L’olio di palma viene utilizzato per la produzione di biscotti, grissini, crackers, snacks, pane, pane in cassetta, merendine, creme spalmabili, dolci, prodotti precotti, latte per l’infanzia, cosmetici.

Per semplificare, possiamo affrontare almeno tre ambiti che interessano l’olio di palma: quello sanitario e nutrizionale, quello economico e tecnologico, per finire con la questione della sostenibilità ambientale e del rispetto dei diritti umani.

Salute e nutrizione

Il prodotto di cui stiamo parlando è un olio di semi raffinato. Durante Ia raffinazione vengono eliminati molti componenti dell’olio grezzo, quali le vitamine e gli antiossidanti naturali. Un olio raffinato è, quindi, un prodotto che contiene solo acidi grassi, inodore, insapore, incolore.

Durante la raffinazione degli oli si formano anche prodotti nuovi, quali ad esempio il gligidolo esterificato, che è una sostanza considerata dall’ Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) cancerogena e genotossica.

Sempre secondo l’Efsa, l’olio di palma contiene tale molecola in quantità superiore di 6 volte rispetto all’olio di mais, 19 volte rispetto alle miscele di oli per friggere e 4.000 volte di più rispetto all’olio di oliva.

Ciò desta particolarmente preoccupazione, in quanto  l’olio di palma è largamente utilizzato anche nella produzione del latte per neonati ed alimenti destinati a bambini ed adolescenti.

Al riguardo l’industria della raffinazione, sta cercando di migliorare i processi tecnologici per ridurre la presenza di tali sostanze negli oli vegetali, ma il differenziale tra l’olio di palma e gli altri oli rimane comunque costante.

Un altro aspetto importante è l’aumento del rischio cardiovascolare legato alla presenza degli acidi grassi saturi.  Al riguardo ci sono numerosi studi di varie Agenzie, che concordano sulla correlazione del rischio cardiovascolare con l’assunzione di acidi grassi saturi. Non c’è accordo, invece tra alcune di queste agenzie sul fatto che gli acidi grassi saturi dell’olio di palma siano più dannosi rispetto a quelli presenti in altri grassi, quali ad es. il burro.

La sostituzione dell’olio di palma con altri oli vegetali in molti prodotti, ha comunque contribuito a ridurre l’assunzione di acidi grassi saturi di oltre il 70% con indubbi benefici sul sistema cardiovascolare, ma non sulla linea dei consumatori, in quanto gli acidi grassi fanno “ingrassare” tutti alla stessa maniera!

 

Costi e risparmi

Innanzitutto c’è da dire che l’olio di palma costa meno degli altri oli alimentari che lo possono sostituire. In uno studio dell’edizione statunitense dell’agenzia Reuters emergono, ad esempio, le possibili motivazioni che impediscono alla Ferrero di sostituire l’olio di palma su un prodotto molto noto come la Nutella.

L’olio di palma costa circa 800 dollari a tonnellata, mentre l’olio di girasole ne costa 845 dollari. La differenza sembra esigua, ma per un’impresa come il colosso dolciario della Ferrero, che utilizza circa 185.000 tonnellate di olio di palma l’anno, la eventuale sostituzione con l’olio di girasole costerebbe almeno 8 milioni di dollari in più. Con altri olii la differenza di prezzo è ancora più elevata.

Anche dal punto di vista tecnologico l’olio di palma offre importanti vantaggi. Ha, infatti, un contenuto di acidi grassi saturi molto elevata, pari al 55% circa sul totale degli acidi grassi (fonte Codex Alimentarius).

Gli acidi grassi saturi sono più stabili all’irrancidimento, rispetto ai grassi mono insaturi come l’acido oleico, o agli acidi grassi polinsaturi, come l’acido linoleico, che tende ad ossidarsi molto facilmente. Questa peculiarità dell’olio di palma conferisce quindi un innegabile vantaggio in quanto i prodotti che lo utilizzano hanno una vita sullo scaffale maggiore dei prodotti confezionati con olio di oliva o olio di semi di girasole.

La presenza dell’olio di palma semplifica anche tutta la fase logistica del trasporto e dello stoccaggio dei prodotti perché, in virtù della sua stabilità, non richiede particolari attenzioni nella gestione della temperatura dei mezzi di trasporto e dei magazzini.

L’olio di palma conferisce anche caratteristiche di consistenza, friabilità, tenuta alla cottura, che altri grassi alimentari non riescono ad eguagliare.

 

Questioni tecnologiche

Per concludere con gli aspetti tecnologici, si deve considerare che le linee industriali di produzione acquistate negli anni scorsi – per le quali le ditte hanno fatto investimenti consistenti che prevedono lunghi periodi di ammortamento – sono state progettate per lavorare con l’olio di palma che ad esempio, solidifica a temperature molto più alte dell’olio di semi di girasole ed ha una densità maggiore.

Passare dall’uno all’altro non significa solo cambiare la ricetta, ma potrebbe significare cambiare elementi importanti delle linee di produzione, con costi molto consistenti.

Gli argomenti sopra accennati ci danno un’idea delle motivazioni alla base della strenua resistenza che il mondo industriale ha opposto all’abbandono dell’utilizzo dell’olio di palma.

Sostenibilità ambientale

La crescente richiesta, da parte dell’industria, di olio di palma dal dopo guerra ad oggi, ha comportato spesso il disboscamento selvaggio delle foreste, sovente attraverso incendi, così da mettere a serio rischio di estinzione molte specie di animali selvatici – quali l’orango tango- e la biodiversità di molti ecosistemi.

Al riguardo importanti agenzie ambientaliste come ad es. Greenpeace hanno promosso una forte campagna di sensibilizzazione sulla non sostenibilità ambientale dell’utilizzo industriale dell’olio di palma, chiedendo ai vari attori, dalle banche che finanziano l’ampliamento delle piantagioni alle industrie che utilizzano l’olio, di operare in maniera meno distruttiva e più ecosostenibile.

 

Diritti umani

All’aspetto della sostenibilità ambientale, si aggiunge anche lo sfruttamento – a volte in condizioni di vera schiavitù – delle persone addette alla coltivazione raccolta del prodotto usato nelle industrie alimentari.

Al riguardo Amnesty International ha redatto un rapporto molto corposo sulle violazioni dei diritti umani dei lavoratori nelle piantagioni di palma.

Una sintesi del rapporto la possiamo trovare sul sito italiano di Amnesty International che denuncia orari di lavoro molto lunghi sotto minaccia di riduzione della paga, bambini lavoratori anche sotto gli 8 anni, intossicazione da pesticidi tra i quali il paraquat, messo al bando per la sua tossicità dall’Unione Europea.

Queste campagne di sensibilizzazione hanno indotto molte industrie che utilizzano l’olio di palma  a tracciarne la provenienza da coltivazioni certificate per la sostenibilità ambientale e per il rispetto dei diritti umani.

Al riguardo il WWF ha stilato un interessante rapporto dove ha dato un punteggio da 0 a 9 sull’utilizzo sostenibile dell’olio di palma da parte delle varie aziende

Ad esempio, in Italia nel 2016 la Ferrero ha totalizzato un punteggio pari a 9, che attesta un comportamento positivo della ditta rispetto alle problematiche di sostenibilità ambientale. Sulla stessa strada la Barilla che totalizza un punteggio pari ad 8.

A conclusione di questo breve excursus tecnico, c’è un aspetto politico di “cittadinanza attiva” da evidenziare; nel caso dell’olio di palma, i consumatori, sostenuti anche dalle organizzazione di categoria, convinti della necessità di ridurre il consumo di tale prodotto, sia per i motivi nutrizionali, che di sostenibilità ambientale e dei diritti umani, hanno indirizzato in maniera consistente i propri consumi verso prodotti “olio di palma free” anche se a volta più costosi, inducendo così l’industria, che non aveva la convenienza a cambiare i propri standard produttivi, a modificare le proprie ricette e porre in atto comportamenti virtuosi in merito alla sostenibilità ambientale e dei diritti umani.

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