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Il testamento biologico

Con le espressioni “testamento biologico” (o testamento di vita,), “direttive (o disposizioni) anticipate di volontà, “dichiarazioni anticipate di trattamento”, si indica generalmente lo strumento volto a manifestare le scelte di fine vita. Si tratta di documenti scritti contenenti le indicazioni espresse da una persona sana e capace di intendere e di volere (“competente”, secondo la traduzione letterale di una parola anglosassone ormai entrata nell’uso) e aventi per oggetto i trattamenti sanitari e assistenziali che la persona vorrà o non vorrà ricevere nell’ipotesi in cui, a causa di una malattia grave, inguaribile, o di evento traumatico, si venisse a trovare in uno stato di incapacità di intendere e di volere (“incompetente”)[32].

Si è affermato che l’atto con cui il paziente in fieri dà disposizioni sulla propria fine è un atto non burocratico, ma etico. Esso concerne non solo e non tanto l’organismo, oggetto della biologia, ma anche e soprattutto la persona, la quale è un soggetto la cui natura è intrecciata alla storia, alla sua storia di vita. Coinvolta in tale atto è la biologia, ma anche una biografia. Per questo l’atto medesimo dovrebbe essere detto testamento biografico, con accezione più ampia, affrancata da riduzionismo biologico.

Nella terra di nessuno, ma di tutti, che intercorre tra la vita e la morte, il transito non è soltanto quello governato dalle leggi della bio-tanatologia; è anche un trapasso che fa di ogni persona non un cadavere, ma un defunto, il cui lascito testamentario non può essere oggetto di biolitigio. Il testamento biografico va rispettato non eluso o impugnato[33]

Una prima osservazione deve essere fatta sulle definizioni “direttive” o “dichiarazioni”. La dizione “direttive (o disposizioni) anticipate di volontà è la traduzione dell’espressione inglese advance health care directives, che letteralmente significa disposizioni anticipate di volontà in ordine ai trattamenti sanitari. Questo tipo di documento non dovrebbe implicare necessariamente una volontà di morire, perché si chiedono alcuni trattamenti e se ne rifiutano altri. Il personale medico, però, è tenuto a rispettare le volontà del paziente.

Alle espressioni “testamento biologico” e “disposizioni (o “direttive”) anticipate, si oppone quella di “dichiarazioni anticipate di trattamento”, coniata dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel 2003, per contrastare  una duplice idea: quella per cui oggetto del documento possa essere la decisione sulla vita umana (in questo senso è usata la parola “trattamento”) e quella per cui la volontà del paziente non debba essere vincolante per il medico (per questo è usata la parola “dichiarazioni” in luogo di “direttive”).

La descrizione del panorama terminologico va completata ricordando la “procura sanitaria” (durable power of attorney), con cui un soggetto nomina un rappresentante legale incaricato di prendere decisioni al suo posto (proxy decision maker) nella previsione di una futura incapacità e in materia di decisioni sui trattamenti. La procura sanitaria può essere contenuta anche nel testamento biologico, nelle direttive o dichiarazioni anticipate.

Il percorso italiano verso una legge sul c.d. “testamento biologico” risale al 1990, quando la Consulta di Bioetica di Milano, fondata nel 1989 dal neurologo Renato Boeri, ha promosso la c.d. “biocard” o “carta di autodeterminazione”. Tale documento è rivolto alla famiglia, ai medici curanti e a tutti coloro che saranno coinvolti nell’assistenza del sottoscrittore e si presenta comprensivo di richieste assai diverse che hanno una diversa rilevanza sia etica sia giuridica. Accanto alle volontà circa i trattamenti nella fase terminale, alla nomina di due tutori, alle disposizioni sulla donazione degli organi e sulla conservazione del proprio cadavere, all’assistenza religiosa, è previsto anche il rifiuto dei “provvedimenti di sostegno vitale”. Questi ultimi sono definiti “misure urgenti senza le quali il processo della malattia porta in tempi brevi alla morte”. Tali provvedimenti comprendono, secondo il modulo: 1. la rianimazione cardiopolmonare, 2. la ventilazione assistita, 3, la dialisi, 4. la chirurgia d’urgenza, 5. le trasfusioni di sangue, 6. le terapie antibiotiche, 7. l’alimentazione artificiale.

In questo senso si dispone che non siano curate le “infezioni respiratorie” e urinarie, le emorragie, i disturbi cardiaci o renali, o attivare l’alimentazione e l’idratazione artificiali, in presenza di: 1. malattie in fase terminale, 2. una malattia o una lesione traumatica del cervello gravemente invalidanti e giudicate irreversibili, 3.  altre malattie gravemente invalidanti e non rimediabili (per esempio, l’Aids)[34].

Il fondamento legislativo della rinuncia ad un trattamento medico è già rintracciabile nell’art. 32 della Costituzione Italiana che recita: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ulteriori riferimenti possono essere l’art. 13 della stessa Costituzione che dispone che la libertà personale è inviolabile e l’art. 33 della legge 833/1978 Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale che prevede che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari.

Un testo fondamentale in tale ambito è costituito dalla Convenzione sui diritti umani e la Biomedicina del Consiglio di Europa (Convenzione di Oviedo, 4 aprile 2007, ratificata in Italia con legge n.145 del 28 marzo 2001) dove all’articolo 9 si legge: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente, che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la sua volontà saranno presi in considerazione (testo inglese: shall be taken into account”.

Il Comitato Nazionale per la Bioetica il 18 dicembre 2003 ha approvato un documento sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, riprendendo ed approfondendo -come dichiarato – un precedente documento, dello stesso Comitato, Questioni bioetiche sulla fine della vita del 14 luglio 1995 “alla luce della più recente riflessione bioetica e di rilevanti novità biogiuridiche”.

La motivazione delle dichiarazioni anticipate, riprendendo quanto affermato precedentemente,  come è scritto nel documento, considera che “la più ampia partecipazione dei cittadini nelle decisioni che li riguardano si applica a tutto l’arco del processo di cura ed è particolarmente richiesta quando il soggetto potrebbe essere privato delle facoltà cognitive e della stessa coscienza, trovandosi così a dipendere interamente dalla volontà di altri. Queste situazioni appaiono particolarmente drammatiche quando l’intervento potrebbe mettere in discussione la vita o la qualità della vita. Le dichiarazioni anticipate di trattamento tendono a favorire una socializzazione dei momenti più drammatici dell’esistenza e ad evitare che l’eventuale incapacità del malato possa indurre i medici a considerarlo, magari inconsapevolmente e contro le loro migliori intenzioni, non più come una persona, con la quale concordare il programma terapeutico ottimale, ma soltanto come un corpo, da sottoporre ad un anonimo trattamento. A tal fine è opportuno fornire ai medici, al personale sanitario e ai familiari elementi conoscitivi che li aiutino a prendere decisioni che siano compatibilmente in sintonia con la volontà e le preferenze della persona da curare”.

Il documento sottolinea ancora che: “In realtà le dichiarazioni non possono essere intese soltanto come un’estensione della cultura che ha introdotto, nel rapporto medico-paziente, il modello del consenso informato, ma hanno anche il compito, molto più delicato e complesso, di rendere ancora possibile un rapporto personale tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere. La finalità fondamentale è, quindi, quella di fornire uno strumento per recuperare al meglio, nelle situazioni di incapacità decisionale, il ruolo che ordinariamente viene svolto dal dialogo informato del paziente col medico e che porta il primo, attraverso il processo avente per esito l’espressione del consenso (o del dissenso), a rendere edotto il medico di ogni elemento giudicato significativo al fine di far valere i diritti connessi alla tutela della salute e, più in generale, del bene integrato della persona, E’come se, grazie alle dichiarazioni anticipate, il dialogo tra medico e paziente idealmente continuasse anche quando il paziente non possa più prendervi consapevolmente parte”.

Il documento sottolinea poi alcune patologie nelle quali le dichiarazioni anticipate possono contribuire a far sì che “molti ardui problemi decisionali di terapia e di trattamento possono essere, se non risolti, almeno attenuati da questo tipo di documenti, qualora vengano formulati nell’attualità delle prime fasi della malattia e trovino specifica applicazione soprattutto in relazione a particolari patologie a lenta evoluzione (AIDS, morbo di Alzheimer, malattie tumorali), il cui decorso tipico è sufficientemente conosciuto e per le quali, in base alle correnti conoscenze mediche, esistono diverse opzioni diagnostico terapeutiche, nessuna delle quali prevalente in assoluto su altre, ma ciascuna caratterizzata da particolari benefici riconnessi con particolari oneri e tale quindi da esigere una valutazione di complessivo bilanciamento, che non può non spettare, almeno prima facie, se non al paziente stesso” .

Il documento del Comitato Nazionale per la bioetica, pur senza impegnarsi in una completa analisi comparativa dei contenuti dei modelli di dichiarazioni anticipate già esistenti, evidenzia poi alcuni ti pi di indicazioni per quanto riguarda i contenuti stessi:

 

  • indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi per trapianti, sull’utilizzo del cadavere o parti di esso per scopo di ricerca e/o didattica,
  • indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di essere curato in casa o in ospedale, ecc.)
  • indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia,
  • indicazioni finalizzate ad implementare le cure palliative,
  • indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non attivazione di qualsiasi forma di accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati o ingiustificati,
  • indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipotesi accanimento,
  • indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale.

E’ però assolutamente necessario sottolineare che gli ultimi due punti hanno determinato discussioni non risolte nell’ambito del Comitato Nazionale, così che il documento attesta che alcuni membri ritengono che il potere dispositivo del paziente vada limitato esclusivamente a quei trattamenti che integrino, in varia misura, forme di accanimento terapeutico, perché sproporzionati o addirittura futili. Non rientrerebbero a loro avviso, in tali ipotesi interventi di sostegno  vitale di carattere non straordinario, né l’alimentazione né l’idratazione artificiale che, quando non risultino gravose per lui, costituirebbero invece, atti eticamente e deontologicamente doverosi, nella misura in cui – proporzionati alle condizioni cliniche – contribuiscono ad eliminare le sofferenze del malato terminale e la cui omissione realizzerebbe una ipotesi di eutanasia passiva.

Tuttavia , si afferma poi che”pur essendo numerosi e complessi i problemi bioetici sollevati dalle dichiarazioni anticipate, sul piano etico non esistono radicali obiezioni di principio nei loro confronti, anche se differenti possono essere le motivazioni e gli argomenti che le differenti teorie etiche formulano a sostegno delle proprie posizioni”.

Il documento esprime poi le seguenti raccomandazioni:

 

  • le dichiarazioni abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e da soggetti maggiorenni,
  • non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche, che contraddicano il diritto positivo, le regole di pratica medica, la deontologia,
  • si auspica che siano compilate con l’assistenza di un medico, che può controfirmarle,
  • siano tali da garantire la massima personalizzazione delle volontà del futuro paziente, non consistano nella mera sottoscrizione di moduli.

Inoltre il Comitato Nazionale per la Bioetica ritiene opportuno che:

  • il legislatore intervenga esplicitamente in materia,
  • la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate, escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, qualora si discosti da esse nella sua decisione, di esplicitare formalmente in cartella clinica le ragioni del suo dissenso,
  • le dichiarazioni anticipate possano eventualmente indicare i nominativi di uno o più soggetti fiduciari, da coinvolgere obbligatoriamente,
  • ove le dichiarazioni anticipate contengano informazioni “sensibili” sul piano della privacy, la legge imponga apposite procedure per la loro conservazione e consultazione.

E’ importante precisare la figura e il ruolo del fiduciario: si tratta di una persona indicata dal paziente stesso per il rispetto delle sue volontà. A questo proposito il documento sottolinea che “questa figura è presente in molti dei modelli di dichiarazioni anticipate proposti in Italia e all’estero, alcuni dei quali già hanno ottenuto riconoscimento legale in diversi Stati. In particolare negli Stati Uniti, la direttiva di delega (Durable power of attorney for health care nello stato della California; Health care representative nello stato dell’Oregon; Patient advocate for health care nello stato del Michigan) costituisce la struttura portante di questi documenti, mentre le dichiarazioni vere e proprie vengono formulate sotto forma di limiti posti dal paziente all’azione del suo delegato”.

La filosofia sottostante le dichiarazioni anticipate è recepita dal Codice di Deontologia Medica Italiano, che nella ultima versione del 16 dicembre 2006 la sottolinea all’articolo 38 quando afferma: “Il medico deve attenersi, nell’ambito dell’autonomia ed indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa dalla persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa… il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”.

Nell’articolo si richiamano, quindi, due concetti fondamentali: da una parte l’autonomia ed indipendenza che caratterizzano la professione medica vincolandole comunque a principi etici fondamentali come il rispetto della dignità e della libertà della persona, e dall’altra parte, la necessità di verificare che la volontà del paziente sia documentata in modo certo.

A completamento si può ricordare come il nuovo Codice Deontologico degli Infermieri Italiani[35] dichiara  all’articolo 36 che “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui espressa della qualità della vita” e all’articolo 37: “L’infermiere, quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato”.

Un esempio pratico di dichiarazioni delle volontà anticipate è quello sostenuto dalla Fondazione Veronesi all’insegna del motto “Scegliere in modo consapevole come affrontare le incognite del futuro è una forma di libertà”, recentemente rinnovato nel più sintetico “Nessuno deve scegliere per noi[36]. Nel modulo predisposto il sottoscrittore si dichiara “nel pieno delle facoltà mentali e in totale libertà di scelta” e dichiara che in caso di malattia o lesione traumatica cerebrale irreversibile e invalidante, sia di malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione chiedo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico né ad idratazione e alimentazione forzate e artificiali in caso di impossibilità ad alimentarmi autonomamente”. Dichiarazione che i medici sono tenuti a rispettare.

Si può ricordare ancora la Carta delle Volontà Anticipate elaborate dal Comitato per l’Etica di Fine Vita[37] nella consapevolezza dell’inscindibile nesso che lega un’assistenza capace, in prossimità della morte, di alleviare la sofferenza e salvaguardare, per quanto possibile, la qualità e la dignità della vita dei pazienti e il rispetto della loro autodeterminazione nelle scelte sulle cure sino alla fine della vita.

In Germania, la Conferenza Episcopale tedesca il Consiglio della Chiesa evangelica hanno elaborato un testo comune definito Disposizioni sanitarie del paziente cristiano (Christliche Patientenverfugung) contenenti disposizioni di fine vita. Il testo, che contiene anche un modulo da compilare da parte del paziente, è stato siglato nel 1999 e rivisto nel 2003. Nel caso in cui venga decisa la limitazione delle misure terapeutiche, particolare importanza viene conferita al trattamento e all’assistenza della persona malata. La limitazione delle misure terapeutiche può rientrare anche nell’ampio accompagnamento medico e sanitario del morente, il quale include anzitutto la dedizione umana verso il malato, la sedazione del dolore e dei sintomi, così come la messa in atto di misure specifiche di trattamento in modo che i bisogni primari dell’esistenza umana restino tutelati. Di ciò fanno parte fra le altre cose una sistemazione dignitosa, la dedizione, l’igiene del corpo, l’alleviamento del dolore, della difficoltà respiratoria e della nausea, così come l’appagamento della fame e della sete. A questo proposito il documento puntualizza che l’alimentazione artificiale tramite un sondino naso-gastrico o per via gastroenterica (la cosiddetta sonda PEG) o per fleboclisi rientri alla fine della vita nell’”assistenza di base”, ma vada decisa da caso a caso[38].

Anche la “United States Catholic Health Association” aveva distribuito già nel 1974 un documento (Christian Affirmation of Life) che comprendeva anche questa affermazione: “richiedo che, se possibile, io sia consultato riguardo ai procedimenti medici che potrebbero essere usati per prolungare la mia vita, quando la morte si avvicina. Se io non posso più prendere parte in decisioni concernenti il mio futuro e non c’è ragionevole aspettativa di un mio recupero da condizioni di invalidità fisica o mentale, io richiedo che non si impieghino mezzi straordinari per prolungare la mia vita”. Altre iniziative simili sono sorte successivamente, come ad esempio il “testamento di vita” proposto dal Comitato Episcopale per la difesa della vita della Conferenza Episcopale Spagnola, affermante il principio che “la vita è un dono e una benedizione di Dio, ma non è il valore supremo assoluto”[39].

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