E’ stato calcolato che durante un ricovero in ospedale di 4 giorni, un paziente può interagire con 50 diversi dipendenti, tra cui medici, infermieri, tecnici, amministrativi e altri. Negli ultimi decenni, infatti, il progresso della scienza medica con l’espandersi delle conoscenze fisiopatologiche e l’incessante sviluppo tecnologico (nuovi strumenti diagnostici e terapeutici)ha determinato l’emergere continuodi nuove figure professionali sanitarie e la tendenza alla loro iper-specializzazione.
Negli ultimi decenni, infatti, ilprogresso della scienza medica con l’espandersi delle conoscenze fisiopatologiche e l’incessante sviluppo tecnologico (nuovi strumenti diagnostici e terapeutici)ha determinato parallelamente l’emergere continuodi nuove figure professionali sanitarie e la tendenza alla loro iper-specializzazione.La frammentazione delle competenze ha comportato peròil pericolo di una parcellizzazioneanche del paziente nei suoi diversi sintomi, tanto che qualche paziente vede il suo medico di medicina generale quasi come un “centro di smistamento” verso una babele di esperti settoriali[2].
Tra l’altro gli studi dimostrano che la frammentazione della cura si associa a riduzione della qualità ed aumento dei costi[3] e si auspica sempre più che l’assistenza sia articolata in modo da considerare il paziente globalmente, nelle sue multiple dimensioni.
Sonocertamente positivi in questo sensoi cambiamenti in atto nell’organizzazione sanitaria: la costituzione di equipe pluridisciplinari attorno al pazientecon una determinata patologia(per cui ad es. attorno alla paziente con cancro mammario, possiamo trovare medici di diverse specializzazioni oncologo, chirurgo, radiologo, radioterapista, chirurgo plastico, ginecologo, palliativista,ma anche infermieri, psicologo, dietista, tecnici di radiologia, assistente sociale, ecc.), i nuovi modelli di organizzazione e di gestione delle competenze professionali in maniera integrata(costituzione di dipartimenti, centri di competenza e di riferimento per patologie, ecc.), l’evoluzione del ruolo del paziente a partner informato e indispensabile nel prendere le decisioni terapeutiche, la creazione dinuove funzioni trasversali, amministrative e logistiche, che dovrebbero aiutare il paziente ad orientarsi nel sistema sanitario...
Il rapporto medico-paziente conserva assolutamente tutta la sua centralità nella medicina attuale, ma esso non può più essere inteso, se non eccezionalmente, come una relazione tra due persone fisiche, bensì come la relazione che un’equipedi operatori sanitari ha con un paziente, a sua volta inserito nel suo ambiente di vita e di relazioni.
Il mondo sanitario odierno, infatti, è caratterizzatoda multiplee dinamiche interazioni tra singoli e tra servizi, che differiscono non solo per competenze, ma anche per opinioni, punti di forza, limiti e capacità umane.Ma questa poliedricità acquista valore seviene GOVERNATA, superando esigenze ed obiettivi dei singoli professionisti/servizi e postaal servizio di obiettivi più alti, quali il miglioramento continuo della qualità delle cure[4],[5]come già evidenziava questo studio sul sistema sanitario inglese nel 1998.
La letteratura scientifica degli ultimi 20 anni è ricca di studi che sottolineano come* la qualità e l’efficacia delle cure sono strettamente correlate -oltreché alla qualità delle loro relazioni con il paziente -alla qualità delle relazioni tra gli operatori sanitari stessi. E questo nei più diversi ambiti assistenziali: cure primarie, emergenza, medicina interna, riabilitazione, chirurgie[6],[7],[8],[9],[10],[11],[12] anche in contesti di maggiori carichi di lavoro per limitazione delle risorse[13].
Come afferma anche un autorevole documento del Collegio dei Medici britannico, la disponibilità a lavorare insieme e la capacità di collaborare sono elementi costitutivi della professionalità[14].
La collaborazionefra professionisti sanitari, però, è una realtà dinamica, che si effettua su un continuum crescente di interdipendenza, da una pratica indipendente parallela(es. il medico di famiglia, il dentista e il podologo di un paziente possono lavorare senza necessariamente interagire tra di loro)alla necessità di consulenza/invio a uno o più altri professionisti, alla necessità di prestazioni interdipendenti e decisioni condivise.In generale, più i bisogni di salute sono complessi, più lacura dei pazienti richiede competenze plurime e l’intervento di un numero elevato di professionisti,maggiori sono la collaborazione interprofessionale e l’interdipendenza richieste[15].
La collaborazione comporta la condivisione dei pareri tecnici e prospettive etiche: il focus è sui bisogni del paziente, al centro e protagonista del processo di cura. E’ lui l’”esperto" – assieme (quando appropriato) ai familiari e/o altre persone di supporto - dei suoi propri valori, priorità, risorse, stile di vita.
Nei sistemi organizzativi complessi, come quello sanitario, i dirigenti si dovrebbero distinguere non soltanto per le competenze professionali nel loro campo, ma proprio per le loro doti interpersonali, quali l’empatia, la capacità di risolvere i conflitti e di favorire lo sviluppo delle persone, per la loro capacità in sostanza di essere dei leader[16],[17]. Essi hanno infatti un ruolo critico.
Si sono osservati risultati positivi sulla qualità e sicurezza delle cure quando si investe sulla leadership, sulla sua capacità di stabilire gli obiettivi comuni, definire processi con ruoli chiari e compiti ben ripartiti e diversificati, incoraggiare il lavoro di equipe, creare un clima di sicurezza e di partecipazione[18]e i leader con maggiore spiritualità sarebbero più efficaci, perché più capaci di attualizzare queste pratiche nel quotidiano[19].
Lavorare in sinergia richiede una organizzazione adeguata e competenze specifiche (che si possono e debbono imparare), ma è innanzitutto una mentalità (essere consapevoli che da soli non possiamo rispondere a tutte le esigenze dei pazienti ed essere aperti a questo arrichimento reciproco) e una responsabilità (siamo responsabili non solo delle nostre azioni professionali, ma anche dell’armonia del gruppo di lavoro). Nella medicina odierna – dice questo autore – non si può essere solisti[20],[21]siamo tutti parte di un’orchestra e le stonature possono avere conseguenze gravi non soltanto sulla qualità delle cure e sulla soddisfazione del paziente[22], ma anche sulla sua sicurezza[23].
Tra le aree di rischio per la sicurezza del paziente, che necessitano di correttivi e prevenzione sui fattori umani in gioco, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) mette al primo posto la comunicazione.Secondo un rapporto inglese[24], nel 2009 il 13,5% delle morti avvenute nei primi 4 giorni dall’ingresso in ospedale era imputabile a errori di comunicazione tra medici dello stesso reparto, tra servizi diversi e con altre figure professionali, incapacità di decisioni, mancanza di professionisti senior soprattutto di sera e di notte. Problemi di comunicazione sarebbero responsabili del 13% degli eventi avversi in Medicina generale[25]e in Chirurgia[26] e addiritturadel 44% degli eventi avversi in Pediatria[27].
Le cause dei problemi di comunicazione sono molteplici: poco tempo, difficoltà a trovare il collega
difficoltà relazionali, lavoro a turni, documentazione scarsa, cartelle non leggibili, ecc... Tutti i codici deontologici sottolineano, però, il dovere di condividere le informazioni pertinenti con i colleghi coinvolti nella cura del paziente e in caso di divergenze con i colleghiagire nell’interesse del paziente e trattare il collega con rispetto e dignità (vedi ad esempio il General MedicalCouncil in“Goodmedicalpractice, 2013”).
Un processo critico per la continuità della cura e la sicurezza del paziente è la «consegna» (shift-to-shifthandhoff): lo scambio di informazioni relative al paziente tra operatori, al cambio turno, in caso di trasferimento del paziente in un’altra unità operativa (es. da PS a reparto), le lettere di dimissione verso il domicilio o altra struttura...Una Commissione OMS ha stimato che l’80% degli errori clinici gravi sono causati da una cattiva comunicazione in questi momenti[28].
L’OMS afferma che la collaborazione interprofessionale è la chiaveindispensabile per migliorare le cure. E in un suo documento ad hoc del 2010 raccomanda pertanto di introdurre la formazione e la pratica collaborativa come strategia per migliorare i sistemi sanitari
e suggerisce, di individuare giovani con capacità di leadership in questo senso, che possano guidare questo necessario cambiamento.
In una città australiana, i servizi sanitari di base erano stati spostati tutti in un unico edificio, con l'obiettivo di favorire la collaborazione e l’integrazione tra i servizi a beneficio dei pazienti con comorbidità ed esigenze complesse (anziani, disabili, pazienti psichiatrici, dipendenze, malattie croniche...), ma non si sono avuti i risultati sperati, perché l’agenda dei vari servizi era sempre piena di altre priorità, sovraccarichi di lavoro. Ogni servizio manteneva la propria linea di governo, i propri processi, la propria cultura. Mancava la volontà di integrazione nella pratica![29]
La fiducia e il rispetto, che sono fondamentali per il successo del lavoro comune, hanno bisogno di tempo per svilupparsi tra gli operatori. Inoltre, gli studi attuali dimostrano che saper considerare ciascuno la prospettiva dell’altro, compresa quella del paziente e includerla nei processi decisionali:è una competenza che si acquisisce soltanto attraverso una formazione interprofessionale[30],[31].
E’ necessario incorporare la filosofia della collaborazione interprofessionale nella scuole di medicina fin dai primi anni; formare in maniera interprofessionale (didattica, tirocini, alloggi condivisi); sviluppare programmi di formazione continua sulla collaborazione interprofessionale.
Ma lo stesso ambiente di lavoro deve predisporre all’apprendimento continuo, sul campo, gli uni dagli altri. Si parla oggi di LEARNING ORGANIZATION[32], a proposito di un’organizzazione che incoraggia ciascun professionista a dare il proprio contributo per migliorare il lavoro interprofessionale, imparando continuamente anche dagli errori e dalle esperienze positive fatte.
Gli esperti di comunicazione sottolineano che la comunicazione interna a un gruppo di lavoro, per essere efficace, dev’essere ASSERTIVA, cioè onesta, aperta, diretta (nel senso che gli interlocutori forniscono agli altri tutte le informazioni di cui dispongono e non viene omesso alcun elemento informativo in conseguenza di preconcetti, barriere ideologiche, sociali, culturali... ), pragmatica, (cioè strettamente correlata all’obiettivo che si sta perseguendo) e coerente con la situazione e l’ambiente in cui si svolge.
Attraverso un’analisi dettagliata delle trascrizioni delle riunioni di gruppo in strutture geriatriche, emerge che la modalità di comunicazione più efficace per decisioni condivise, per affrontare e risolvere i problemi in maniera collaborativa e per il raggiungimento degli obiettivi di cura dei pazienti è la discussione collaborativa, rispetto alle semplici esposizioni orali e ai report scritti[33].
I conflitti fanno parte delle dinamiche gruppali e perciò della vita lavorativa, è inutile negarli o evitarli. L’essere umano, per soddisfare i propri bisogni essenziali, deve creare “accordi” con i suoi simili,utilizzando lo strumento della comunicazione, come necessità imprescindibile. Il conflitto può essere definito come una comunicazione inefficace, ovvero che non raggiunge lo scopo di stipulare un accordo tale da soddisfare i bisogni essenziali delle parti[34].
Ogni conflitto può essere risorsa per l’apprendimento (poiché esige non risposte stereotipate, ma assunzione di compiti specifici) e per un cambiamento, a beneficio dei singoli e del gruppo
L’apprendimento di elementi di conoscenza della trasformazione dei conflitti può favorire un miglior lavoro nel team professionale. Gli strumenti della trasformazione dei conflitti si rivelano particolarmente utili anche per i professionisti che rivestono ruoli dirigenziali, per comprendere le dinamiche delle relazioni conflittuali all’interno dei gruppi e poterne favorire la trasformazione.
Le soluzioni dei problemi che sottostanno ai conflitti, devono soddisfare i bisogni fondamentali delle parti. Alla radice profonda dei conflitti, infatti, vi è la mancata soddisfazione di bisogni umani essenziali (o comunque la percezione di mancata soddisfazione, perché sentimenti ed emozioni giocano un ruolo importante) e non negoziabili: sopravvivenza, benessere, identità, libertà, secondo la classificazione proposta da Johan Galtung[35].
Core principles and values of effective team-basedhealth care: è il documento-sintesi del lavoro di un gruppo multiprofessionale costituito presso l’Istituto di Medicina del National Academiesnegli USA (medici, infermieri, assistente sociale, bioeticisti, esperti di salute pubblica, associazioni di tutela dei pazienti, ...)[36]. Il background includeva una revisione della letteratura e interviste strutturate con team ad alto funzionamento in una varietà di contesti, per definire pochi fondamentali principi e valori guida condivisi, che possano essere misurati, comparati, appresi e replicati.
Tra i valori il documento annovera: onestà (essere persone vere, trasparenti, esprimere se stessi pienamente nei contatti con gli altri, anche con le proprie vulnerabilità); disciplina (non si costruisce nulla di solido senza sforzi e sacrificio);umiltà (Riconoscere i propri limiti professionali e umani e i propri errori);creatività;curiosità (desiderosi di imparare cose nuove). Sono principi fondamentali per un buon funzionamento di un team: obiettivi condivisi e misurabili (che riflettono le priorità del paziente e della famiglia e possono essere chiaramente articolate, comprese e supportate da tutti i membri dell’equipe), ruoli chiari, norme per favorire la fiducia reciproca, comunicazione efficace, verifiche regolari ed evolutive dei risultati.
La costruzione di una genuina comunità multiprofessionale è rara, ma possibile, titola questo articolo, sottolineando il ruolo dei professionisti sanitari[37]. Per superare le divisioni tra le categorie (medici, infermieri, amministratori), oltre a promuovere il lavoro di equipe, Bartunek[38] raccomanda di favorire la socializzazione (es. festeggiare insieme ricorrenze, compleanni...) e far acquisire la consapevolezza dell’identità duale.
Ciascuno può fare la sua parte, iniziando a costruire fondamenta di relazioni positive: fiducia, rispetto, sostegno reciproco, comunicazione[39], indispensabili anche per esplicitare le tensioni emotive che il lavoro comporta e prevenire il burn-out.
E guardare lontano, allo scopo comune, come ben ricorda questa storiella. Alcuni operai stavano spaccando pietre sotto il sole cocente. Un uomo che passava di lì, chiese loro cosa stessero facendo. Uno rispose: “non vedi? Mi sto ammazzando di fatica". E un secondo: “lavoro per guadagnare il pane per me e la mia famiglia”. Il terzo esclamò: “Stiamo costruendo una cattedrale”, indicando la valle dove cominciavano a vedersi le prime colonne della grande costruzione.
Incomprensioni, malintesi, attriti, conflitti, rotture, ecc. Il processo di costruzione di relazioni interpersonali, di lavoro in equipe, è continuamente messo a prova dalle difficoltà quotidiane anche economiche a volte, dai diversi valori, da attitudini e caratteri differenti, dalla stanchezza, tentazioni di autoaffermazione, ecc. Serve spesso ricominciare, ricomporre, qualcuno deve fare il primo passo
Come ha detto Mesli M. Farouk, un epidemiologo algerino, al Congresso “Comunicazione e relazionalità in Medicina” tenutosi a Roma nel 2007 raccontando l’esperienza del suo gruppo di ricerca: “Le relazioni di tipo professionale si fanno e si disfano nel tempo a seconda degli interessi e delle scelte lavorative di ciascuno. Andando controcorrente, le relazioni costruite nell’amore tra gli uomini possono avere un sapore di eternità. I legami di qualsiasi genere, anche di tipo professionale, quando scaturiscono dall’amore, sono più forti e resistono a tutte le difficoltà”.
Mariagrazia Arneodo – Centro di riabilitazione Opera don Guanella - Roma
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