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La sfida per lo studente: fare propria la professionalitàfare propria la professionalità. Nei precedenti interventi abbiamo sentito quali sono le aspettative generali dello studente, con uno sguardo particolare a tutto quello che riguarda il suo percorso formativo. Allo stesso modo abbiamo sentito lo stato dell’arte ed i nuovi sviluppi della realtà

dell’insegnamento. Ma nell’ottica della reciprocità in cui ci siamo posti, non possiamo trascurare lo studente come parte integrante dell’ambito universitario. Sappiamo, da quanto detto prima, che chi è “in cammino” in un corso di laurea in area sanitaria ha delle aspettative, ma, come per il docente, ha una sfida ardua davanti: far propria la professionalità, un talento – di cui sentiremo parlare più avanti – indispensabile per il buon esercizio della professione in area biomedica. Ancor più che in altri ambiti lavorativi, nel nostro è essenziale possedere una professionalità compiuta, per il “contratto” particolare che si stabilisce tra gli operatori sanitari e la società, la quale affida ad essi un bene essenziale come la salute dei cittadini. Come sentiremo nella sessione dedicata ad essa, la professionalità è definita come una serie di competenze – tecniche e relazionali – che  fanno giudicare l’operatore come “una persona che sa fare bene il suo lavoro”: dunque non si tratta solo di rispetto della deontologia professionale, ma di qualcosa di più ampio, non facile da insegnare e da valutare. Proviamo però a schematizzare i concetti.

Secondo molti autori statunitensi, tutto quello che in ambito sanitario viene appreso ed utilizzato dai “professionisti sanitari” nel lavoro di tutti i giorni è classificabile in tre curriculum – intesi come tre diversi ambiti di apprendimento. Questi sono il formale, l’informale e il “nascosto”. Con il primo curriculum – formale – vengono individuate tutte le nozioni teoriche apprese con lo studio individuale, vale a dire tutte le informazioni che ci vengono illustrate in aula. Nel secondo curriculum, quello informale, trovano sede invece tutte le competenze teoriche e le abilità pratiche apprese dai “tutor” soprattutto durante le attività di tirocinio, insomma i “trucchi del mestiere” che non è possibile apprendere nella teoria o che è molto difficile capire e applicare solo con lo studio teorico. Queste includono ad esempio eseguire una misurazione in laboratorio, il modo di legare una sutura, eseguire correttamente una medicazione, spostare un paziente… Nel terzo curriculum, quello nascosto, vengono invece raggruppate le abilità e le nozioni che sono apprese in modo non cosciente dal tirocinante o dal subalterno, e riguardano tutte le forme di “esempio” rappresentato dalle figure autorevoli che ci troviamo di fronte, dove con autorevoli non vogliamo alludere tanto alla posizione gerarchica occupata, quanto più al ruolo di riferimento che rivestono nei confronti di chi apprende. Difatti chi sta imparando tende ad osservare con attenzione tutti i comportamenti della figura di esempio per poi applicare le stesse strategie comportamentali, un po’ come fa un bambino che impara osservando e imitando genitori e fratelli.
Tenendo conto di questa schematizzazione e di quanto detto prima nella sessione è possibile fare alcune considerazioni generali. Il curriculum formale rappresenta in pratica quello che viene insegnato e valutato in un corso di studi, l’insieme delle nozioni che lo studente apprende e che determinano la valutazione numerica degli esami e della laurea. Il resto delle nozioni apprese in altri ambiti (racchiuse nei curriculum informale e “nascosto”) non sono considerate – in ambito universitario – parte integrante del bagaglio culturale necessario ad un professionista dell’area sanitaria, ne tantomeno sono valutate in sede accademica, quando invece la realtà insegna che sono molto importanti per svolgere “in scienza e coscienza” la propria attività lavorativa e che spesso guidano le scelte pratiche. Secondo punto importante per noi studenti è che –  almeno in teoria – le informazioni fornite da questi tre curricula dovrebbero essere coerenti fra loro. Solo rimanendo nell’ambito del medico e dell’infermiere, quanto io ho studiato di teoria sul rapporto medico-paziente (curriculum formale), dovrebbe trovare un riscontro nel comportamento del tutor in corsia (curriculum “nascosto”) anche nell’attività quotidiana e non solo quando si svolge la lezione pratica.(curriculum informale).  Nella realtà questo è raro, e la discordanza fra questi tipi di informazione genera un conflitto del quale lo studente molto spesso non si rende conto. Ed in questo caso, proprio per il modello di apprendimento del nostro cervello, siamo portati a considerare più affidabile la pratica della teoria, perché si verifica nel concreto e ne facciamo esperienza, siamo quindi portati ad applicare la pratica, mettendo da parte la teoria che abbiamo studiato. Questo è aggravato inoltre dal fatto che l’esempio è rappresentato da figure che noi consideriamo importanti e degne di fiducia. Ancor di più, se sono le nozioni del curriculum nascosto ad essere in conflitto con il resto, specie se rappresentano un modus operandi non particolarmente valido a livello etico, la tentazione è quella di agire nello stesso modo anche giustificati dal fatto che l’esempio è un modello “di successo” professionale o che rappresenta la maggioranza degli esempi.

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