Cure primarie e accompagnamento del malato terminale
Nella mia attività di medico di famiglia mi sono trovato spesso ad accompagnare “fino alla fine” pazienti che desideravano morire nel proprio letto e devo dire che, nonostante il grosso surplus di lavoro e le immaginabili difficoltà che questa scelta comporta, è sempre stata una straordinaria possibilità di arricchimento professionale ed umano che ha segnato in maniera indelebile la mia vita.
Ma anche per la famiglia può essere un’ esperienza fondamentale, che dà serenità per aver fatto tutto il possibile per il proprio caro… come mi ha scritto la figlia di un paziente che ha scelto di morire a casa propria.
Leggo qualche stralcio…
“Ricordo che in quel periodo a casa mia non si viveva molto bene per via della tensione nervosa e della consapevolezza che la vita di mio papà era al termine.
I medici ci avevano lasciati con la fatidica frase “non c’è più niente da fare”… Non era tanto la frase in sé stessa, alla quale eravamo ormai abituati, e della quale anche mio papà aveva preso coscienza, ma quello che si celava dietro: l’abbandono!
Con l’ultima dimissione dall’ospedale ci siamo trovati ad affrontare una situazione drammatica per far fronte ad una burocrazia pesante che invece di agevolare sembrava accelerare il triste epilogo.
Abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e cominciare ad intraprendere una strada fatta di code agli sportelli, carte da esibire (e ne manca sempre una…) e lunghe attese per attivare l’assistenza domiciliare; ma abbiamo tenuto duro, consigliati anche dal nostro medico di famiglia (che ci ha dato la sua disponibilità ad assisterlo a casa)… e così il papà ha concluso i suoi giorni attorniato dai suoi cari piuttosto che da un gruppo di estranei.
Penso che questa sia stata la chiave giusta per portare tranquillità a mio papà che negli ultimi mesi, dentro e fuori dagli ospedali, aveva generato un rifiuto verso la sanità e i suoi rappresentanti.
Dopo venti giorni, per difficoltà respiratorie, mio papà muore.
E’ un’esperienza che lascia, alla fine, la tranquillità di averci provato, di aver fatto il possibile per una persona cara; se me lo chiedono io dico che lo rifarei, tenendo conto che ho tre figli di cui due all’epoca avevano un anno”.
Etica del fine vita: ovvero etica della relazione
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- Scritto da Alberto Marsilio
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