Nel 1991 ebbi a trattare nel mio reparto di allora Enzo Aprea, giornalista e scrittore, colpito dalle complicanze di una grave forma di morbo di Burger, da cui era affetto. La malattia, anni prima, gli aveva portato via entrambe le gambe e le braccia, ma non la sua lucidità e dignità, la sua speranza nel futuro, il gusto per la vita.
Il 28 luglio, dopo diversi giorni di ricovero, Enzo morì, lasciandomi un grande messaggio: ciò che conta è il mondo che c’è dentro gli occhi di ciascuno di noi. Non ho mai smesso di cercare quel mondo negli occhi dei miei pazienti.
La vita quotidiana in un reparto di rianimazione ti pone spesso di fronte alla necessità di chiedere uno straordinario e terribile atto d’amore: la donazione degli organi di un proprio caro in morte cerebrale.
Mai come in questo caso, l’azione congiunta di un team di medici e infermieri assume un significato cogente. Solo la partecipazione umana, la comprensione dei sentimenti può trasformare un dramma lacerante nel più grande atto di fraternità. Non nel comportamento di un singolo medico, ma nell’attitudine dell’intero reparto e nella sua capacità di comunicare e “alleviare” risiede il successo di una così difficile richiesta e la possibilità di offrire un senso al dolore.
di Massimo Antonelli
i medici si raccontano
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