Si stabilisce così quell’empatia preziosa in ogni rapporto autentico, ma direi indispensabile tra medico e paziente. Qualcuno potrebbe obiettare sui pericoli di transfert o di burn out, cioè dell’attaccarsi troppo, anche emotivamente, ai malati, tanto che i fallimenti delle terapie ci risultano inaccettabili e ci procurano malattia. Se abbiamo chiaro l’aver cura delle persone e lo scegliamo come stile della nostra professione, saremo contenti di aver fatto tutto il possibile per comprendere, ricercare, curare, accompagnare, e accetteremo anche il nostro limite, il che è un esercizio salutare (nel senso che dà salute).
Quant’è bella l’espressione “medico di fiducia”, che se vogliamo era alla base del Sistema sanitario, ma poi è divenuta un po’ desueta, in quanto involgarita dalle pratiche burocratiche amministrative che ci indicano il “medico scelto”, il “medico di base”.
Invece, fiducia è un termine e una prassi da riconquistare, se vogliamo fare bene il nostro mestiere. E se vogliamo essere credibili e creduti, cioè se desideriamo veramente che il paziente ci segua nelle nostre prescrizioni e indicazioni.
Veniamo al secondo punto che vorrei porre all’attenzione di noi tutti: l’adesione del paziente alla terapia, quello che viene sinteticamente indicato con termine inglese, COMPLIANCE[1], ma potremmo bene dire osservanza.
Serie ricerche indicano che 1/3 dei malati non si attiene alle indicazioni terapeutiche; le motivazioni sono varie, dipendono da molti fattori; innanzitutto si deve riconoscere in un atteggiamento inosservante una carenza di fiducia, e qui torniamo al punto di partenza: poca fiducia nella medicina, nel medico, nei farmaci; ovviamente incide notevolmente personalità del malato: gli ammalati psichiatrici sono più spesso inosservanti, ma anche alcune tipologie caratteriali influiscono negativamente. Sono definite personalità maladattative, e possiamo citare gli ossessivi-compulsivi, estremamente metodici e ligi al dovere: riescono a collaborare solo se il piano terapeutico non suscita dubbi ed è perfettamente organizzato; i paranoici sono sospettosi, litigiosi, per loro la malattia è una minaccia per cui tendono a negarla, ed ogni piano terapeutico diventa difficile per la loro sospettosità; i pazienti con personalità passiva-aggressiva sotto una falsa apparenza di collaborazione celano ostinazione ed ostilità, per cui solo apparentemente accettano le prescrizioni, ma in realtà praticano un subdolo ostruzionismo. Anche le opinioni personali del paziente sulla natura e l’evoluzione della malattia e sui farmaci adottati influiscono notevolmente sull’osservanza . Infine, influisce ovviamente sull’osservanza la chiarezza e la completezza delle istruzioni e delle indicazioni. Un discorso a parte meriterebbe il rifiuto volontario della terapia anche in ambiti dove la somministrazione può essere più sicura, vuoi per convinzioni religiose, vuoi per espressa volontà dichiarata anche precedentemente, e qui ci addentreremmo nel campo difficile dell’obiezione, dell’accanimento terapeutico e del testamento biologico, che merita senz’altro considerazione e riflessione, ma soprattutto chiarezza dal punto di vista normativo.