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Una breve sintesi della storia e del contenuto della Spiritualità dell’Unità. E’ una visione del mondo, ma anche
una costruzione di un mondo nuovo, che è già iniziata.
E’ nostro desiderio offrire con questo libretto, a quanti lo desiderano, una chiave di lettura per vivere le grandi idealità che erano balenate nel nostro animo, fin dai primordi del Movimento.


E’ esso una realtà che ha risvolti e implicazioni significative sia nel campo della medicina che economico, politico, sociale e culturale.
E’ ciò che si potrebbe definire: la fondazione di un “popolo” (così lo vede il Papa che lo paragona alla Svizzera) di milioni di persone, ben integrato fra gli altri popoli, ma anche ben distinto. Rassomiglia molto alla descrizione che si fa dei primi cristiani nella famosa lettera a Diogneto 1.
Questo popolo, che al suo inizio era formato solo da persone cristiane cattoliche,è ora costituito anche da fedeli di molte altre Chiese e comunità cristiane, da seguaci delle altre religioni della terra, da uomini retti, di buona volontà, come si suol dire, delle più varie culture.
Ora di questo “popolo”, in cui sono rappresentate le età,
le professioni, gli stati sociali, le religioni, vorremmo dire qui unicamente quali sono i principi informatori, le sue leggi, attraverso le quali opera Dio. A parte, infatti, quella che può essere l’azione concertata di persone completamente dedite a questo ideale di vita, bisogna subito dire che i risultati sono così sproporzionati alle nostre povere forze umane, da far pensare sempre all’azione di Dio, in un suo dono speciale, un carisma dato da Lui al servizio della Chiesa e dell’umanità.
Questo carisma ha suggerito anzitutto una spiritualità,
termine, fra il resto, tornato di moda; con esso non si vuole dare assolutamente l’idea di qualcosa che sia puramente confinato nell’interiorità. No, è – come le altre spiritualità apparse nella storia del cristianesimo – una visione “nuova” del Vangelo, una sintesi originale che dà delle linee di vita valevoli per tutti e in tutte le condizioni di esistenza. E’ un modo in cui lo Spirito Santo parla ai cuori di uomini e donne di oggi, in termini adatti allo spirito dei tempi.
La spiritualità dell’unità – possiamo ora affermarlo dopo
60 anni di esperienza – è un segno dei tempi. E’ comunitaria e personale insieme e risponde ai bisogni spirituali della nostra epoca.
Cerchiamo di darne una sintesi, che poi sarà approfondita
punto per punto, soprattutto lasciando la parola a Chiara Lubich che ci illustra, essa stessa in prima persona, la sua avventura.
Nel suo discorso al Palazzo Vecchio di Firenze, il 16 settembre 2000, nell’atto di ricevere la cittadinanza onoraria di quella città, lei racconta, come dice, “con semplicità e a sola gloria di Dio”, alcuni particolari della sua vita:
“La prima volta che ho avuto sentore che qualcosa di
nuovo stava succedendo in me, e non partiva dalla mia
intelligenza, è stato forse quando, a 18 anni, il mio
cuore non aveva che un unico struggente desiderio: conoscere Dio.
La filosofia, che avevo stra-amato nelle scuole superiori,
non mi aveva appagata. E, dovendo incominciare l’Università, avevo pensato che forse in un Ateneo cattolico avrei trovato chi mi avrebbe parlato di Dio e insegnato chi Egli era.
Essendo però i miei genitori, in quel periodo, impossibilitati ad aiutarmi, mi sono affidata ad un concorso; ma per pochi punti non sono stata accettata. Ricordo, come fosse oggi, che ne piansi addoloratissima e costernata con mia madre che non riusciva a consolarmi.
Ma è stato proprio in quel momento che mi parve di
sentire nell’anima queste parole: ’Sarò io il tuo Maestro’.
Smisi subito di piangere. Continuai la mia vita e mi iscrissi ad un’Università laica”.
Un altro episodio:
“Siamo nel lontano 1939. Sono invitata ad andare a
Loreto, nell’Italia centrale, per un convegno. Appena
posso, corro alla Casetta di Nazareth, custodita nella
grande chiesa-fortezza. Non ho tempo di rendermi
conto se, storicamente, quello è l’ambiente che ha
ospitato la Sacra Famiglia.
Mi inginocchio accanto al muro annerito dalle lampade,
ma non riesco a pronunciare parola: qualcosa di
nuovo e di divino m’avvolge, quasi mi schiaccia.
Contemplo col pensiero la vita (...) dei tre. (...) Ogni
pensiero mi pesa addosso, le lacrime cadono senza controllo.
Quella convivenza di Maria e Giuseppe, con Gesù fra loro ha per me un’attrattiva irresistibile”2.
Chiara partì da Loreto con la certezza di aver trovato la sua strada che sarebbe stata di far rivivere in qualche modo la famiglia di Nazareth con la sua vita normale, ma con la continua presenza di Gesù.
Scoppia la guerra e passano 4 anni. Siamo nel 1943 e
Chiara racconta:
“Mentre compio un atto di carità, avverto che Dio mi
chiama a donarmi per sempre a Lui. Lo faccio il 7 dicembre
1943: data considerata come l’inizio del Movimento.
Per vari motivi conosco giovani della mia età che vogliono
seguirmi.
Siamo in piena guerra mondiale. Trento, la mia città,
subisce gravi bombardamenti: rovine, macerie, morti.
Con le mie compagne mi trovo un giorno in una cantina
buia quale rifugio, con la candela accesa e il Vangeli
in mano. Lo apro. V’è la preghiera di Gesù prima
di morire: ‘Padre...che tutti siano una cosa sola’ (Gv
17,21). E’ un testo non facile per ragazze come noi, ma
quelle parole ci mettono in cuore la convinzione che
per tale pagina del Vangelo eravamo nate”3.
Questa fu l’intuizione originaria che poi divenne il leit motiv della vita di Chiara e di milioni di altre persone che compongono ora il Movimento dei Focolari. Esso, proprio per questo suo “carisma dell’unità”, è costruttore di pace e offre un rimedio a tutte le possibili divisioni, separazioni, traumi presenti in ogni campo religioso e civile.
Ma per rendersi conto di come tutto questo non sia un sogno, un’utopia, né un piano pensato a tavolino, torniamo alla nostra storia e al racconto di Chiara.
La spiritualità dell’unità, dice Chiara:
“E’ emersa a grado a grado dal Vangelo. Le sue linee di
svolgimento sono una serie di parole evangeliche sottolineatici dallo Spirito Santo già nei primi mesi della
vita del Movimento, quando esso muoveva i suoi primi
passi nel mezzo della seconda guerra mondiale. (...)
Il primo di essi è Dio, visto e riscoperto per quello che
è: Amore.
Amore che segue ogni nostro passo, conosce tutto di
noi ed è operante nel mondo.
Chi vuol vivere questa spiritualità deve fare di Lui il
perché, l’ideale della sua vita: porlo in cima ai suoi
pensieri e nel centro del suo cuore”4.
Il secondo cardine che si inanella col primo, e cioè il modo concreto di amare Dio, è fare la sua volontà. “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli – dice Gesù -, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
Fare la sua volontà, spiega Chiara, è come camminare su
un raggio di sole. Il sole è Dio e i raggi sono la sua volontà.
Man mano che ci avviciniamo a Lui, ci avviciniamo anche gli
uni agli altri.
Il terzo è: vivere le parole del Vangelo ad una ad una per
un certo periodo di tempo, parole che esprimono la volontà di Dio per ognuno di noi e rievangelizzano il nostro modo di pensare, di volere, di amare5.
Nel Movimento si comunicano poi reciprocamente le
esperienze vissute. E queste Parole di vita vissute e comunicate costruiscono la comunità.
Il quarto è l’amore al prossimo, in cui è sintetizzato il
Vangelo, tutta la legge e i profeti, sostanza di ogni parola, e che ha queste esigenze: è diretto a tutti, ha sempre l’iniziativa, vede Gesù in ogni prossimo, si fa uno con tutti concretamente 6.
E’ quell’ “arte di amare” nella quale sta la grande risorsa
del Movimento.
Il quinto cardine è: l’amore reciproco (patteggiato fino ad
essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro).
Il sesto è: l’unità che deriva dall’amore reciproco.
Il settimo cardine è Gesù crocifisso e abbandonato, chiave
dell’unità; è Lui che la rende possibile, la custodisce e la ricompone.
L’ottavo è la presenza di Gesù nell’unità (Gesù ha detto:
“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo
a loro” (Mt 18,20) e, di conseguenza, nei singoli che compongono l’unità.
Vivendo così, Cristo – anche per i molti altri aiuti che offre la Chiesa – può vivere veramente fra noi e quindi in ciascuno di noi. E noi possiamo divenire altri Gesù.
Con questo stile di vita che ci fa altro Cristo, Egli, Fratello per eccellenza, vivente in noi e fra noi, può operare l’unità fra i cristiani e la fraternità fra tutti gli uomini e le donne della terra.
Sì, anche la fratellanza universale. Cristo, infatti, ha offerto la sua vita per tutta l’umanità. E nel movimento si costata come la luce che Egli emana possa beneficare tutti gli uomini.
Se, infatti, c’è stato un popolo eletto che è radice del popolo cristiano, gli altri popoli non sono stati dimenticati.
Noi costatiamo come al contatto vitale con la dottrina di
Gesù emergano, acquistino splendore le varie verità vere, i cosiddetti “semi del Verbo”, e si sperimenta come, apprezzando e vivendo insieme queste verità comuni, esse alimentino la nostra vicinanza, la nostra fratellanza. Si pensi, per esempio, alla cosiddetta “Regola d’oro”, presente in tutte le religioni, che
suona così: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” (Lc 6,3). Regola che in pratica chiama tutti ad amare. Ed è perciò essa stessa vincolo di fraternità.
Non solo: la luce di Gesù, Dio ma anche vero uomo, non
lascia indifferenti coloro che, di altre culture non aperte alla trascendenza, stimano i valori umani e se ne fanno propugnatori e difensori.
Gesù, uomo perfetto, segue con amore e attenzione questi
fratelli e diventa per alcuni un modello.
Ecco, allora che, se i fedeli di altre religioni possono trovare con una certa facilità nei loro sacri libri, verità da vivere, analoghe ai punti della nostra spiritualità, questi uomini e queste donne d’altre culture trovano anch’essi nel profondo del loro spirito motivi validi per concorrere con tutti gli altri alla fraternità universale. Se i cristiani pongono Dio al centro del loro cuore, ma quel Dio che in Cristo si è fatto veramente uomo, possiamo comprendere che ci si possa incontrare con quanti mettono al centro del loro cuore i valori autentici che fanno l’uomo uomo.
E se per i cristiani è così importante compiere la volontà
di Dio, non è meno impellente per loro, uomini e donne di altre culture, seguire i dettami della loro coscienza.
Anch’essi poi, credono e vogliono vivere quell’amore del
prossimo che è scritto nel DNA di ogni uomo.
Essi pure sanno che non c’è fraternità se non nel rispetto
e nell’amore reciproco.
E, conoscendo la necessità del coraggio, della violenza
contro se stessi, necessari per affrontare le difficoltà e le sofferenze della vita (le croci, direbbero i cristiani), vi si impegnano.
E così via.
Insomma, c’è modo di che vivere, e vivere insieme, per il
nostro ideale.
La fraternità è opera di tutti e riguarda tutti.
Il Movimento stesso poi è tutto un cantiere di fraternità.
Sono una realizzazione della fraternità le più di trenta Cittadelle e sono finalizzati ad essa i quattro dialoghi, le venticinque case editrici, gli altri mezzi di comunicazione.
E’ la fraternità che rende possibili le cosiddette “inondazioni”, e cioè la penetrazione dello spirito dell’unità in tutti gli ambiti umani.
L’anima della fraternità è la dottrina che emerge dalla spiritualità dell’unità.


da scritti di CHIARA LUBICH
a cura di Enzo Maria Fondi

1 A Diogneto, VI, in I Padri Apostolici, Città Nuova, Roma 1976, p.357.

2 Discorso alla Conferenza Episcopale Polacca, Varsavia 1.3.2000.

3 Ibidem.

4 Discorso al Consiglio Generale dei Frati Minori Francescani, Rocca di
Papa 20.12.2000.

5 Ibidem

6 Ibidem

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