Da più parti nel mondo occidentale, ma non solo, vi è una crescente consapevolezza che la medicina oggi è percorsa da profondi processi di cambiamento che ne provocano una crisi evidente e la spingono a mettersi in discussione.L’enorme sviluppo scientifico e tecnologico, i cambiamenti demografici, l’affermarsi di un’etica dell’organizzazione, l’esasperata convinzione del diritto alla salute, sono solo alcune delle cause più evidenti di questo rapporto sempre più difficile tra medicina e società.
Da un Iato i pazienti riferiscono una crescente insoddisfazione per le cure sanitarie a loro erogate e richiedono un maggior coinvolgimento nel processo decisionale sulla salute … Si parla sempre più spesso di umanizzazione della medicina .Dall’altro noi operatori sanitari siamo un po’ frastornati: viviamo sulla nostra pelle la difficoltà di riuscire a dare ancor oggi senso e scopo al nostro lavoro, perché possa continuare a rispondere a quelle esigenze ed ideali per i quali, ad un certo punto della nostra vita, lo abbiamo scelto.
Conviviamo quotidianamente tra apparenti paradossi:
• Tecnologia e Relazione
• Aumento dell’aspettativa di vita e crisi dei modelli di assistenza
• Medicina iperspecialistica, scienza “puntiforme” e l’esigenza di un approccio globale alla persona, la necessità di “mettere insieme i pezzi”
• Una Medicina fondata sulle evidenze e il “paziente reale”
Ancora … se fino a qualche anno fa compito principale di chi si occupava
di salute era quello di curare bene il paziente, oggi non è più così:
è esperienza di ciascuno di noi, penso, che nella pratica clinica odierna per essere dei "bravi" operatori sanitari, dobbiamo acquisire non solo competenze tecniche ma anche un bagaglio extrascientifico: psicologico, economico, sociale, relazionale, gestionale, capacità di comunicazione ...
D'altra parte la reale complessità di cura e gestione delle malattie fa toccare con mano un'altra importante realtà: le conoscenze del singolo professionista non sono più sufficienti, ma abbiamo bisogno sempre di più di interagire, di essere inter e transdisciplinari, di lavorare in equipe, di organizzarci in rete.
E’ evidente pertanto che la domanda di salute oggigiorno è profondamente e rapidamente cambiata rispetto a qualche tempo fa , ma purtroppo noi operatori sanitari facciamo fatica a “governare” questi mutamenti e mostriamo una certa inerzia concettuale nel concepire nuovi modelli di salute e di medicina.
E non si tratta solamente di acquisire o recuperare competenze etiche e deontologiche, ma quello che è necessario è proprio un cambiamento culturale e metodologico.
Proprio dalla consapevolezza di queste importanti trasformazioni della medicina e dalla necessità di nuovi modelli culturali (che devono vedere noi operatori sanitari non ai margini ma protagonisti!) nasce nel 2003 l’associazione Medicina Dialogo Comunione (da cui è nata l’idea di questo convegno), un’associazione interdisciplinare e interculturale che si propone come “luogo” di riflessione e di scambio di esperienze fra operatori sanitari di diverse provenienze geografiche e di varie competenze (cito l’associazione “Saùde Dialogo Comunhào”).
MDC è un laboratorio di esperienze che ha già posto in essere vari progetti a livello locale ed internazionale coinvolgenti istituzioni di vario grado; promuove o aderisce a progetti di cooperazione sanitaria, in particolare nei paesi in via di sviluppo (per es. a Fontem, un villaggio nel cuore della foresta equatoriale in Camerum, o la clinica Sorriso in Brasile).
MDC si propone di offrire il proprio contributo, anche in collaborazione con quanti altri (singole persone, organismi ed Enti) si stanno impegnando nel mondo per un richiamo ad un umanesimo scientifico e ad una antropologia medico-sanitaria fondata sul rispetto dell’uomo, della sua corporeità, del suo spirito, della sua cultura.
Recentemente su un editoriale del New England Journal of Medicine è comparsa questa affermazione: “Dobbiamo continuamente adattare i sistemi per la protezione della salute all’evoluzione delle malattie. Ma dobbiamo anche fare di più. Le malattie non possono mai essere ricondotte ad una struttura molecolare”.
Penso che questa asserzione fornisca solidi riferimenti culturali necessari per superare un’idea di medicina legata ancora ai rigidi criteri del positivismo e scientismo ottocentesco e ci aiuti invece a ridefinire in maniera più appropriata i concetti di salute e malattia.
La malattia non è solo un evento biologico, un guasto tecnico che va riparato sostituendo il “pezzo” rotto … la malattia non è mai separata dalla vita, dalla componente psicologica, spirituale, valoriale del paziente, dal suo modo di concepire salute e malattia, dall’ambiente in cui vive …
Inoltre proprio perché la vita dell’uomo è fatta di relazioni, anzi, è relazione, malattia e salute possono essere considerati non solo beni individuali (il che è ovvio), ma anche “beni relazionali”, cioè beni che prendono senso proprio dal rapporto e dall’incontro con l’altro, dalla capacità di creare solidarietà, interdipendenza, reciprocità.
Sono beni invisibili, intangibili, ma che sostanziano la qualità della nostra vita.
Due persone che sono in relazione, generano una realtà che sta “fra” di loro: è la realtà dell’inter-soggettivo (come la definiscono i sociologici), una realtà che ha una sua esistenza e sta “fuori” dai due che l’hanno generata: è un “di più”.
La relazione è quindi un atto generativo che crea e ricrea costantemente l’identità dei singoli, dà forma alla loro stessa identità.
E sappiamo bene come nel processo di produzione dei servizi sanitari chi fruisce di tali servizi attribuisce valore, non solo all’ottenimento della salute, ma anche alla modalità di erogazione del servizio stesso.
A questo proposito, uno studio eseguito su un campione di 175 malati di cancro presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano -Italia-, evidenzia una migliore qualità di vita legata non tanto al livello di informazione ricevuta, (quanto precisi siamo stati …) quanto al grado di soddisfazione provato per l’informazione ricevuta (cioè “come” siamo riusciti a comunicare).
E’ questo il punto: purtroppo viviamo in un contesto socio-culturale in cui spesso, (come afferma il saggista francese Guillebaud) “il quanto passa davanti al come. Ciò che si conta diventa più importante di ciò che conta. L’urgenza presunta ha la precedenza sull’essenziale”.
Invece non va mai dimenticato, come afferma l’articolo 5 della “Carta di Firenze”, che “Il tempo dedicato all’informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura”.
Per noi di MDC questo è un punto nodale, tanto che nel 2007 abbiamo organizzato a Roma un Congresso Internazionale dove più di 600 professionisti di 35 nazioni si sono confrontati proprio sul tema della “Comunicazione e relazionalità in Medicina”.
Di quell’evento ricordo in particolare una affermazione che mi ha sempre accompagnato in questi anni: “Se la biologia molecolare è stata adottata quale paradigma della medicina del 20mo secolo, il paradigma medico per il 21mo secolo dovrebbe essere centrato sulla relazione …”.
Una medicina, quindi, vissuta come dialogo a tutto campo, dove tutti sono soggetti attivi: dai medici, ad ogni figura di operatore sanitario, sino ai malati, nessuno escluso; un dialogo che attinge oltre che alla riflessione culturale alla vita, perche in tutti i campi, ma in medicina specialmente, cultura e prassi sono inscindibili: l’una non può prescindere dall’altra …
… e quante esperienze segno di un lavoro serio e costante che per lo più rimangono nascoste, ognuno di noi potrebbe raccontare … (e durante questo convegno ne ascolteremo alcune …)
Quindi, per concludere, la medicina odierna ha la necessità urgente di riappropriarsi del malato nella sua interezza e nel rispetto della complessità che lo caratterizza, mediante un metodo sistematico, integrato e multidisciplinare” come ha anche recentemente affermato il Dr. Cesario del san Raffaele.
Un modello clinico-assistenziale che consideri e faccia sintesi sia dell’enorme quantità di dati ed informazioni che la moderna tecnologia ci mette a disposizione, sia della specificità e delle differenze del singolo paziente.
Noi Operatori Sanitari, però, dobbiamo aver ben chiari i diversi domini che determinano la salute dei pazienti per non rischiare che il “cosa fare” amministri il “chi fa”. Perché devono essere le scelte che governano i dati e non il contrario.
Infatti (come ripete spesso il prof. Petrini) se è vero che la medicina è una scienza è altrettanto vero che è anche e contemporaneamente un incontro tra due persone (entrambe fragili e vulnerabili perché entrambi esseri umani …, un incontro tra due persone che ad un certo punto la vita ha fatto incontrare … operatore sanitario e paziente devono (dobbiamo) fare un pezzo di strada insieme, come due viandanti: uno porta la propria competenza, l’altro il proprio bisogno … ed è solo dal confronto, dalla relazione tra la competenza ed il bisogno che nasce la vera cura: quella cura per quel dato paziente !
Questo in definitiva è il fondamento, la “cifra” immutabile della medicina odierna e di quella futura.
“L’uomo è al tempo stesso complessità e semplicità,
unità e molteplicità.
Ogni individuo è una storia diversa da tutte le altre .
E’ un aspetto unico nell’universo”
Alexis Carrel (premio nobel per la medicina , 1912)
Alberto Marsilio