Siamo di fronte ad una medicina medicalizzata, centrata sul ruolo, dove non viene prestata attenzione all’umanità e alla positività. C’è l’esigenza di aprire questa verso l’ascolto e il prendersi cura fino all’ultimo istante di vita della persona, garantendogli una migliore qualità di vita possibile.
MATERIALI
• Pub Med
• Scopus
• M.Bonetti, M.T.Ruffato, IL DOLORE NARRATO
• V.Masini, MEDICINA NARRATIVA
• R.Buckman, LA COMUNICAZIONE DELLA DIAGNOSI
• A.Marzi, A.Morlini, L’HOSPICE
• L.Grassi, M.Biondi, A.Costantini, MANUALE PRATICO DI PSICO-ONCOLOGIA
• www.sicp.it
• www.eapcnet.eu
• www.ipasvi.it
• www.ministerodellasalute.gov.it
• www.siponazionale.it
• www.regioneveneto.it
DISCUSSIONE
Nella fase di vita terminale si è ridotti all’essenziale e ciò che resta per riuscire a sopravvivere sono le funzioni del corpo, ma anche la grazia di una presenza che mantiene umane le altre, ma che spesso sfugge all’attenzione dell’operatore.
Il paziente ha l’esigenza di comunicare, di esprimere i propri dolori, le paure. Ha bisogno di parlare della propria morte, ma solo se sentisse che qualcuno fosse disposto ad ascoltarlo in maniera autentica. La tentazione è quella di scappare, non si ha tempo nè coraggio a sufficienza, ci si sente impreparati, si ha paura della nostra morte e della sofferenza.
Accompagnare qualcuno che muore è una prova che richiede un lavoro su se stessi prima di tutto e anche un addestramento che si può imparare.
La psico-oncologia consiglia alcuni accorgimenti, per impostare al meglio la relazione con il paziente cui ci troveremo di fronte. Fondamentale tra questi è la preparazione all’ascolto. Inoltre esistono molti stili comunicativi che vanno a facilitare o meno la relazione con l’altro. Essi sono importanti per quanto riguarda la fiducia che il paziente pone in noi.
Il comportamento comunicativo del curante dovrebbe fondarsi il più possibile su quell’atteggiamento definito empatia, l’importanza di quest’abilità risulta essere rilevante per riuscire a cogliere al meglio i bisogni del paziente e della famiglia al fine di un miglioramento del benessere psicofisico.
Una corretta comunicazione su fine vita viene realizzata solo in una minoranza dei casi. Alla base di ciò, c’è la scarsa o nulla formazione al riguardo degli operatori sanitari a partire dal percorso di studi. Ecco che mi sono chiesta perché non venga sviluppata una cultura/pratica di lavoro in cui utilizzare queste tecniche portando ad erogare di conseguenza un servizio di assistenza di maggiore qualità.
Serena Patron Università degli studi di Padova