Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti, per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del sito. Chiudendo questo banner, o continuando la navigazione, accetti le nostre modalità per l’uso dei cookie. Nella pagina dell’informativa estesa sono indicate le modalità per negare l’installazione di qualunque cookie.

l'evoluzione dell'ospedaledell’ospedale e i nuovi impegni da prendere. Il mondo ospedaliero europeo ha subito nel corso dei secoli una vera metamorfosi.A partire dall’«Hospitalis Domus», la casa dove si ricevono gli ospiti, dei primi secoli della nostra era, l’ospedale è stato il luogo per eccellenza dove, durante i secoli, si esercitava la carità cristiana.

Gli ospedali, od ospizi, si sono sviluppati sul modello delle abbazie fondate e gestite direttamente dai propri membri. Anche la creazione dell’ospedale generale pubblico da parte di Mazarino, sotto Luigi XIV, nel 1656, non allontanava l’ospedale dal suo primo obiettivo, quello dell’accoglienza e delle cure per i più poveri. Spesso si andava all’ospedale per sfuggire alla mendicità e soprattutto per morirvi.

La medicina era assente dall’ospedale e si esercitava esclusivamente a domicilio e ne beneficiavano solo quelli che potevano permettersi di pagare. Le cure popolari propriamente dette si svilupparono tra le «donne sapienti», che si trasmettevano il sapere di madre in figlia, di cui il miglior esempio è costituito dalla levatrice.

Verso la metà del XIX secolo, con lo sviluppo delle tecniche chirurgiche (frutto delle guerre micidiali a cui si abbandonava l’Europa) e la scoperta delle cause di alcune malattie soprattutto infettive (Pasteur e Koch), la medicina si è impegnata in modo sistematico nella ricerca.

La ricerca si è sviluppata lungo due assi principali: la ricerca fondamentale e la ricerca clinica con lo studio e la descrizione sistematica dei grandi quadri patologici.

L’insegnamento clinico ha finito per obbligare il medico ad esercitare la sua arte nell’ospedale, nel quale trovava un vero “vivaio” di pazienti. Parallelamente si sono sviluppate nuove tecniche di investigazione (lo stetoscopio moderno, i raggi X). La seconda guerra mondiale con la sua ecatombe di feriti ha richiesto da un lato la professionalizzazione dei luoghi di accoglienza dei soldati (dopo Florence Nightingale e la guerra di Crimea) e dall’altro il rapido sviluppo di nuove tecniche operatorie e diagnostiche oltre alla ricerca di farmaci efficaci (antibiotici, anestetici, analgesici).

Il medico, fino ad allora semplice frequentatore della struttura ospedaliera, ha rapidamente assunto il ruolo di gestore di una medicina specifica, che voleva essere scientifica, basata su studi strutturati, fortemente legata all’università, luogo di sviluppo della ricerca di base.

Il rapido sviluppo della comprensione dei meccanismi delle patologie ha largamente contribuito ad una specializzazione della professione, ben al di là della classica divisione tra medicina interna e chirurgia.

Questa tendenza alla specializzazione della professione ha subito un’accelerazione durante la seconda metà del XX secolo, fino al punto che non soltanto ogni organo ha il suo specialista, ma si sono aggiunti altri operatori sanitari come per esempio il genetista, il nutrizionista o ancora il biologo medico.

Parallelamente si sono evolute nella stessa direzione le professioni infermieristiche. Se verso la metà degli anni cinquanta, l’infermiera aveva quasi un monopolio in ospedale, per accompagnare l’esplosione tecnologica si sono dovute sviluppare nuove figure professionali: i tecnici di radiologia, i tecnici di laboratorio, gli infermieri anestesisti, gli infermieri psichiatrici, pediatrici, i terapisti della riabilitazione, i dietisti, i logopedisti, gli ortofonisti, gli ausiliari dell’assistenza, per citarne solo alcuni.

2. L’ospedale oggi

In questo inizio del XXI secolo l’ospedale è per eccellenza un luogo di altissima tecnologia: installazioni tecniche di diagnostica medica per immagini (radiologia interventistica, RMN, PET-scan), blocchi operatori iperspecializzati con microchirurgia robotizzata, laboratori di biologia clinica che introducono le scoperte della biologia molecolare nella routine delle analisi di laboratorio, una organizzazione dei servizi logistici che associa il trattamento alberghiero più raffinato agli imperativi della prevenzione delle malattie nosocomiali, l’approvvigionamento di materiale sterile necessario alle cure e un’ infrastruttura di farmacia ospedaliera finora sconosciuta.

Essendo l’obiettivo primario di un ospedale quello di assicurare cure di qualità all’insieme dei pazienti, ciò ha portato di conseguenza l’introduzione nell’istituzione di altre nuove figure professionali che spesso evolvono in modo trasversale nella struttura (esperto della formazione continua, gestore della qualità delle cure, igienista).

Per finire, l’esplosione dei costi del funzionamento del sistema-sanità in Europa, dove le spese ospedaliere costituiscono fino al 50% degli oneri totali, ha avuto come conseguenza la presenza, certo indispensabile, ma anche spesso dominante, della gestione finanziaria dell’ospedale.

L’ospedale: un’azienda come le altre, questo è lo slogan dettato dalla volontà primaria di demistificare i luoghi di cura banalizzandoli e relegandoli al rango di una qualsiasi altra impresa da gestire. Eppure nessun fattore economico di redditività finanziaria o di imperativa razionalità e efficienza potrà render conto dello stato d’animo, delle paure spesso non quantizzabili, dei dolori, del rischio di vita o di morte a cui è sottomesso colui per il quale in fondo il sistema avrebbe dovuto essere concepito: il malato.

3. Constatazioni

Più di 100 professioni specializzate si sono sviluppate oggi nell’ospedale, senza contare i numerosi “specialisti” che si sono formati “sul campo”. La superspecializzazione, resasi necessaria per affrontare la complessità della macchina, sia essa medica, infermieristica o amministrativa o logistica, ha portato ad un’inevitabile esplosione della coerenza dell’organizzazione.

I reparti medici specializzati, vere piccole cliniche indipendenti nel sistema ospedaliero, paiono evolvere verso l’autarchia. La specializzazione medica ha causato dei riflessi di chiusura, nella convinzione che il personale che lavora in quella data struttura è il migliore. Questo ripiegamento su se stessi si spiega con la volontà di trovare un’identità, un “questa è casa mia” nei complessi ospedalieri sempre più grandi. La coesione delle équipe è così rinforzata a scapito di un’apertura verso l’esterno, in particolare verso gli altri reparti.

Questa frammentazione è stata aumentata dallo sviluppo delle strutture medico-tecniche aperte sul territorio. L’ospedale tradizionale, luogo di ricovero di malati, ha subito una trasformazione lungo l’ultimo decennio in “luogo di passaggio” dove le cure ambulatoriali sono preminenti rispetto ai ricoveri. Il fatto che l’installazione di apparecchiature sempre più costose debba essere redditizia ha largamente contribuito ad accorciare la durata media dei ricoveri.

E il paziente in tutto questo? Si vede “processato” in modo ottimizzato lungo “itinerari clinici” sapientemente studiati per rendere il percorso rapido, efficace ed efficiente, al punto che l’impresa fatica ancora a vederlo, a comprenderlo, nel senso etimologico di “prendere dentro”.

4. Impegni da prendere

1) Verso una nuova gestione delle competenze.

La responsabilità istituzionale di disporre in qualsiasi momento di manodopera adeguata ha modificato profondamente negli ospedali le politiche di assunzione, privilegiando un universitario rispetto a un non universitario, la professionalità riconosciuta dal titolo di studio, piuttosto che la formazione acquisita sul campo.

Possedere un diploma non dà tuttavia oggi alcuna garanzia della competenza necessaria domani. Al di là della semplice responsabilità individuale di mantenere le proprie conoscenze al passo con lo sviluppo scientifico, l’ospedale ha organizzato programmi interni di formazione continua obbligatoria per l’insieme dei collaboratori, siano essi medici, paramedici o tecnici.

Questi programmi non possono più limitarsi alla sola trasmissione o all’incremento dei saperi professionali, ma devono obbligatoriamente includere due risvolti attualmente sottosviluppati nello spazio culturale rappresentato dall’ospedale:

– Il sapere e le competenze della comunicazione tra le persone, i servizi, i dipartimenti, orizzontale e verticale, dunque istituzionale.

– Il sapere etico, la dimensione della salute pubblica e la responsabilità sociale dell’azienda tanto verso i collaboratori che verso i pazienti e le loro famiglie che vi si rivolgono, nonché verso l’ambiente nel quale la struttura si sviluppa.

2) Verso nuovi modelli di organizzazione.

L’improvviso emergere della superspecializzazione necessaria per assicurare la qualità delle cure mediche, infermieristiche e istituzionali del paziente richiede un’approfondita riflessione sui modi di funzionare dell’ospedale per affrontare la sfida dell’esplosione delle strutture e dell’isolamento funzionale dei diversi luoghi di cura.

È necessaria una riflessione di tipo etico su una solidarietà indispensabile e sulla partecipazione del collaboratori alla vita dell’azienda.

Si sta realizzando un avvicinamento delle specialità mediche e chirurgiche, riunite in centri di competenza attorno ad un gruppo di organi come ad esempio la gastroenterologia e la chirurgia digestiva o ancora la chirurgia dei tumori e l’oncologia. Il beneficio atteso consiste soprattutto in un avvicinamento dei vari attori attorno alla patologia del paziente con un risparmio di tempo, un guadagno importante nella trasmissione di conoscenze, un’inevitabile crescita della coerenza della presa in carico del paziente con una netta riduzione dei rischi nei quali egli incorre durante l’ospedalizzazione.

La costituzione di staff pluridisciplinari attorno alla persona da curare, che riuniscano non solo i differenti medici come l’oncologo, il radiologo, il radioterapista, il ginecologo e il chirurgo plastico in caso di patologia oncologica mammaria, ma anche l’infermiere clinico, l’assistente sociale, la dietista, la psicologa e gli specialisti della terapia del dolore o delle cure palliative, permette un approccio olistico del modo di procedere nelle cure.

L’evoluzione delle mentalità dovrebbe in futuro permettere al paziente di assistere in qualità di partner indispensabile e informato nel prendere le decisioni terapeutiche.

La riflessione sull’organizzazione deve rivolgersi a modi di funzionamento trasversale che seguano il paziente facilitando il suo orientamento nel sistema della presa in carico all’interno dell’ospedale.

3) Verso un cambiamento di paradigmi nelle competenze professionali dei dirigenti a tutti i livelli gerarchici.

L’eccellenza nella professione di partenza, che sia medica, paramedica, amministrativa o logistica non garantisce necessariamente un eccellente capo di servizio.

Gestire un servizio in questo ambiente che cambia richiede un ventaglio di competenze nuove e poco insegnate nell’ambito medico o paramedico tradizionale. Sono necessarie competenze di tipo pedagogico, di gestione delle risorse umane, di gestione dei conflitti o di management della resistenza ai cambiamenti. Una formazione adeguata e specializzata si impone a tutti i livelli gerarchici.

4) Verso una nuova cultura di impresa.

Di fronte all’indispensabile professionalizzazione di tutto il personale dell’istituzione ospedaliera e alla sfida di mantenere una coerenza d’insieme che sembra frammentarsi sia a livello delle competenze che a quello del sapere e del saper fare, un nuovo approccio di riflessione si impone.

La riflessione deve svolgersi attorno all’elaborazione di sistemi integrati di valori da condividere fra tutto il personale per dare coerenza al sistema e per sostenere gli sforzi di rettifica della disgregazione strutturale che minaccia l’impresa, in modo che le cure vengano dispensate in modo giusto.

Questi valori devono sostenere gli obbiettivi istituzionali in materia di politica delle cure e di strategia da mettere in opera per favorire un modo di procedere coerente in materia di presa in carico dei pazienti.

Un cambiamento di paradigma si impone a più livelli:

– Ritornare all’obiettivo primitivo dell’ospedale e orientare l’azienda al paziente.

– Rimettere il paziente al centro della discussione istituzionale e utilizzare al massimo a questo fine la professionalità e le competenze di tutti.

– Focalizzare l’attenzione sui risultati per i pazienti, in termini di soddisfazione e di miglioramento dello stato di salute piuttosto che solo sui benefici sociali o economici.

– Gestire le cure attraverso l’evidence based medecine e l’evidence based nursing piuttosto che in funzione del prestigio della posizione sociale dei vari attori.

– Contribuire a creare un’atmosfera di lavoro dove la certezza che ciascuno ha potuto dare il meglio di sé a vantaggio del paziente, tramite un’assistenza di eccellenza e di qualità, procura gioia e soddisfazione ai collaboratori.

 

di YVONNE KREMMER

Health Dialogue Culture

Vuole contribuire all'elaborazione di una antropologia medica che si ispira ai principi contenuti nella spiritualità dell'unità, che anima il Movimento dei Focolari e alle esperienze realizzate in vari Paesi in questo campo.


 

Facebook I Segue

Eventi

Twitter | Segue

Documenti più scaricati