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MDC_La comunicazione della diagnosi:  un modo per sviluppare la collaborazioneL’atteggiamento e l’approccio del medico sono cruciali per un’efficace comunicazione della diagnosi e per far sì che essa sia terapeutica e dìa inizio a un cambiamento. Un atteggiamento di apertura verso il paziente e la sua famiglia agevola in maniera marcata l’accesso del medico all’atmosfera emozionale.

Ciò permette lo sviluppo dell’empatia, accompagnata però dal rischio di turbare le emozioni del medico.

Iniziamo esaminando le linee-guida nazionali britanniche. Gli Standards for Good Practice del Consiglio Generale Britannico di Medicina affermano che:

– dobbiamo considerare i pazienti come individui e rispettare la loro dignità;

– dobbiamo trattare i pazienti con cortesia e considerazione;

– dobbiamo lavorare in collaborazione con i pazienti;

– dobbiamo dare le informazioni che i pazienti vogliono o di cui necessitano in modo comprensibile.

Il Consiglio afferma inoltre che nei nostri rapporti con i pazienti dobbiamo comunicare in maniera efficace:

– ascoltandoli, chiedendo e rispettando i loro punti di vista riguardo la loro salute e rispondendo alle loro preoccupazioni ed esigenze;

– dando ai pazienti, in maniera comprensibile, le informazioni che desiderano o di cui hanno bisogno sulla loro condizione, sul probabile decorso della malattia e sulla scelta di cure a disposizione, con relativi rischi ed incertezze;

– rispondendo alle loro domande e tenendoli aggiornati sullo sviluppo dei trattamenti;

– accertandosi che gli venga comunicato il modo in cui vengono trasmesse le informazioni all’interno dell’équipe medica e paramedica;

– assicurandosi che si sia provveduto ad andare incontro alle loro eventuali esigenze linguistiche e comunicative.

Prendendo in considerazione la mia esperienza di psichiatra per l’infanzia e l’adolescenza, per formulare una diagnosi è necessario iniziare con una breve valutazione. Bisogna capire quali sono le aspettative dell’adolescente e dei suoi genitori in merito allo svolgersi della valutazione. Fornisco loro dei segnali per quello che si aspettano. Quindi prima parlo all’adolescente così da aumentarne il coinvolgimento e l’impegno. L’intero svolgersi di una valutazione, infatti, è volto a ottimizzare la partecipazione: ad esempio, ricostruendo l’albero genealogico con un’adolescente disinteressato, o dando ascolto alle lamentele di una madre ansiosa. Oltre ad ottenere informazioni, l’obiettivo è quello di costruire un rapporto di collaborazione, in modo che il primo incontro sia terapeutico e la famiglia si senta ascoltata. Questo pone le basi per poter comunicare successivamente il mio giudizio clinico.

Dal mio punto di vista, credo che l’outcome più importante della valutazione sia riuscire ad individuare e verbalizzare i fattori critici sia fisici, che sociali e psicologici all’interno della massa di informazioni che giunge in modo difensivo e precipitoso. Questa formulazione esige uno sforzo mentale, ma pone le fondamenta per una diagnosi e indica ciò che deve essere presente nel programma terapeutico. Una buona formulazione dimostra che ho ascoltato e posso controllare se la famiglia la ritiene corretta, chiedendo di classificarne l’esattezza con un punteggio da 1 a 10.

L’atteggiamento e l’approccio del medico sono cruciali per un’efficace comunicazione della diagnosi e per far sì che essa sia terapeutica e dìa inizio a un cambiamento. Un atteggiamento di apertura verso il paziente e la sua famiglia agevola in maniera marcata l’accesso del medico all’atmosfera emozionale. Ciò permette lo sviluppo dell’empatia, accompagnata però dal rischio di turbare le emozioni del medico.

Quali sono i fattori che i pazienti prendono maggiormente in considerazione nei medici? La calma è molto apprezzata; ugualmente ha la sua importanza assicurare la propria comprensione dopo aver comunicato con efficacia la diagnosi; può aiutare dare materiali da leggere, come dépliant; indicare un percorso per andare avanti e infondere speranza; permettere che il processo avvenga con un passo conforme alla natura umana, per dare al paziente e alla sua famiglia il tempo di interiorizzare ciò che è stato detto, potersi adattare alla nuova situazione e normalizzare qualsiasi reazione di tipo doloroso. Durante tutto il processo, si incoraggia un comportamento sano, potenziando al massimo la capacità del genitore e/o del giovane paziente di fare delle scelte appropriate.

Ci sono degli elementi chiave per poter comunicare con efficacia la diagnosi. È necessario dare del tempo, ripetere l’informazione, ottenere evidenze mediche da mostrare al paziente (ad esempio, somministrare questionari riguardanti la depressione, fare un grafico del peso in caso di anoressia; esplorare e comprendere le reazioni del giovane e degli operatori, le loro paure e speranze). Spesso si sperimenta un sollievo: “c’è finalmente qualcuno che ci capisce”. Tutto questo può portare implicazioni per i genitori che arrivano pieni di paura di essere comunque incolpati.

Se la diagnosi è formulata e comunicata con efficacia, ciò può fare da pedana di lancio per l’impegno nel trattamento. Spesso la comunicazione della diagnosi non si limita al paziente e alla famiglia, perché per essere efficace può essere necessario che il medico, con il loro consenso, ne informi anche la scuola, il pediatra, i servizi sociali e altre agenzie.

Potrebbe accadere di sottovalutare questa comunicazione con l’ambiente esterno, invece essa è parte di un approccio olistico all’adolescente, su cui influisce fortemente l’ambiente che lo circonda. Tale comunicazione può comportare di dover contattare diverse agenzie per aiutarle ad offrire un nuovo tipo di servizio o adattare il servizio che già offrono. Questo significa che spesso il medico deve fare l’avvocato del giovane, e questo è parte vitale di un approccio collaborativo in Medicina. Significa fare un uso strategico anziché rigido della comunicazione scritta o verbale: descrivere con chiarezza la diagnosi multi-assiale comprensiva degli aspetti psicologici, fisici e sociali e il piano di trattamento assieme agli altri professionisti è decisivo, infatti, per influenzare altri all’esterno.

Il modo e il contesto in cui viene comunicata la diagnosi sono cruciali per il rapporto medico-paziente e per eventuali interventi. La diagnosi può diventare uno strumento potente di terapia e si può utilizzare in diversi modi. Il medico può minimizzare l’importanza della diagnosi mettendola nella giusta prospettiva, per esempio con un genitore eccessivamente ansioso, o, viceversa, sopravvalutarla in situazioni dove si nega la gravità della condizione, come nell’anoressia.

Per la maggior parte delle malattie mentali che si presentano in età giovanile, dedicare tempo a far sì che il primo contatto con i servizi per la salute mentale risulti positivo, fa sperare che potrà aiutare il paziente a usufruirne con più prontezza in età adulta.

Per poter offrire il tipo di rapporto medico-paziente che io stesso mi augurerei se fossi il paziente, occorre spendere del tempo e resistere alla tentazione di fare in fretta. A causa della complessità del sistema familiare, sociale e scolastico che circonda ogni bambino o adolescente, nella ricerca della loro salute mentale, succede spesso che una valutazione e diagnosi frettolosa non contribuisce a formulare un programma terapeutico capace di portare un cambiamento “abbastanza buono”.

Vari fattori possono determinare il valore della diagnosi: il motivo perché un genitore o un ragazzo è venuto – le loro aspettative sulla valutazione e sul servizio (per esempio, le loro speranze); la comprensione del problema e le aspettative riguardo alla diagnosi, da parte dei giovani pazienti e dei genitori.

Potrebbe essere importante parlare dei pro e dei contro della comunicazione di una diagnosi; per esempio, diagnosticare la sindrome di Asperger potrà comportare da una parte l’impressione del giovane di essere “etichettato”, ma dall’altra di ottenere più supporti educativi. 

In conclusione, spero di aver potuto trasmettere come mettere in pratica le linee-guide nazionali, sviluppando un buon rapporto medico-paziente durante la valutazione e comunicando il percorso di formulazione e la diagnosi in modo efficace, così da sviluppare una sana collaborazione.

di DAVID WHITE

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