La relazione clinica potrebbe rinnovarsi, il consenso informato sarebbe più responsabile e condiviso; l’interdisciplinarietà potrebbe divenire ancora di più un obbiettivo utile e costruttivo a giovamento di tutti, sia dei pazienti che dei medici.
La reciprocità, inoltre, potrebbe diventare il momento ideale per discutere e promuovere i fini della medicina, tanto più necessari nella nostra epoca dove una rivoluzione biotecnologica così vorticosa, senza precedenti e senza precisi riferimenti etici, mette in gioco i valori e gli scopi della vita stessa.
La reciprocità offre, poi, nella pratica clinica un aiuto per un agire concreto e responsabile, aperto ad una comprensione più profonda dei limiti della medicina.
La dinamica dell’interscambio di idee aumenta, tra l’altro, il sapere di ognuno e aiuta ad essere attenti agli interessi di tutti, confrontandosi sia nei casi clinici che nella ricerca scientifica con tutte le sue problematiche nel campo della bioetica e delle bioteconologie.
Ancora un tale approccio di reciprocità ha un grande valore nel rapporto medico-paziente, dove gli aspetti relazionali hanno un’importanza rilevante.
L’atto medico, infatti, in questa maniera non sarebbe solo azione, ma prima di tutto comunicazione, rapporto che si fa reciproco. Tra il medico e il paziente, che si sente così valorizzato, riconosciuto e trattato come persona, vista nella sua integrità e totalità e a cui si deve rispetto, si stabilirà, infatti, non un rapporto attivo – passivo, ma un rapporto di partecipazione, di reciprocità, con tutti i vantaggi che esso comporta.
Ecco solo alcuni flash che ci fanno intravedere quale vantaggio potrebbe venire al mondo della medicina e all’umanità tutta se il paradigma del relazionarsi fosse sempre la reciprocità.
E’ un’utopia? Non so. Difficile, sì, ma non impossibile.
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