MARIA PAOLA BARBARO
Come sta cambiando il panorama della ricerca farmaceutica negli ultimi anni
In nessun settore come in quello del farmaco è così stretto il rapporto tra qualità dei prodotti e qualità della vita, tra sviluppo economico e benessere dei cittadini.
Le imprese del farmaco sostengono per più del 90% la ricerca farmacologica. Questo significa che le aziende farmaceutiche da un lato svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo, la sperimentazione di nuovi farmaci e la promozione di studi sulla fisiopatologia e la cura delle malattie, dall’altro possono influenzare in maniera negativa la ricerca scientifica, qualora gli interessi economici vengano anteposti alla necessità di salvaguardare il bene comune. Negli ultimi decenni l’industria farmaceutica ha acquistato un controllo senza precedenti sulla valutazione dei suoi stessi prodotti. Le compagnie farmaceutiche finanziano molte ricerche cliniche e sono stati dimostrati casi in cui esse sono intervenute in maniera scorretta sui risultati delle ricerche da esse stesse finanziate per far apparire i farmaci da loro prodotti migliori e più sicuri.
Il problema, quindi, non è tanto la sponsorizzazione in se stessa, ma il modo in cui essa avviene. Prima del 1980, l’industria finanziava istituzioni accademiche dando ai ricercatori totale responsabilità del progetto finanziato. I ricercatori disegnavano lo studio, analizzavano e interpretavano il dato, scrivevano il paper e decidevano come e dove pubblicare i risultati. Generalmente né I ricercatori, né l’istituzione in cui essi lavoravano avevano altre connessioni finanziarie con la casa farmaceutica che aveva sponsorizzato lo studio. In anni recenti, al contrario, le compagnie che forniscono il finanziamento sono intimamente coinvolte in ogni aspetto della ricerca dei loro prodotti. Esse spesso disegnano gli studi, eseguono l’analisi, scrivono il paper e decidono se, quando e su quale rivista pubblicare il lavoro. In alcuni trial multicentrici, gli autori possono addirittura non avere accesso ai loro stessi dati. In alcuni casi estremi, dunque, i ricercatori sono diventati niente più che braccia da lavoro, destinati unicamente a sostenere il paziente e a raccogliere dati in accordo a quanto deciso dall’azienda farmaceutica.
Questi fenomeni sono ormai stati ampiamente descritti dalla letteratura e stanno divenendo via via più diffusi. E’ bene però ricordare che non rappresentano la totalità dei casi. Nella mia breve vita lavorativa ho potuto fare esperienza del “vecchio” modo di fare ricerca. In laboratorio, infatti, collaboro attivamente ad un progetto sponsorizzato da una industria farmaceutica, che ha lo scopo di indagare l’effetto di un tipo di insulina sui precursori di adipociti di tessuto adiposo sottocutaneo e omentale. Il progetto è stato pensato dal mio Professore e dai suoi collaboratori più stretti e ha ricevuto la sponsorizzazione affinché venisse condotto nel nostro laboratorio. Gli esperimenti sono stati interamente ideati e realizzati da noi, noi abbiamo effettuato l’analisi e noi stiamo scrivendo il paper e deciso la rivista cui inviarlo. In questi due anni mai abbiamo subito interferenze di alcun tipo da parte della casa farmaceutica.
Oltre alla sponsorizzazione del progetto, i ricercatori hanno spesso anche altre connessioni finanziarie con gli sponsor della loro ricerca. Essi spesso si prestano, dietro compenso, ad essere esperti o relatori in convegni medici. Una recente review ha evidenziato come circa i due-terzi delle istituzioni mediche accademiche hanno interessi nelle compagnie che sponsorizzano le loro stesse ricerche, e uno studio delle cattedre dei dipartimenti delle scuole di medicina ha evidenziato in circa i 2/3 dei casi vi sono entrate del dipartimento fornite dalle case farmaceutiche e che in circa 3/5 dei casi i detentori della cattedra avevano introiti personali. Esistono delle linee guida di ciascuna casa farmaceutica che dovrebbero regolare il conflitto d’interesse, ma sono in genere piuttosto permissive e facilmente by-passate.
Un esempio? Recentemente un Repubblicano di alto grado della Senate Finance Comittee, ha dichiarato che il Dr A. Schatzberg, direttore del dipartimento di psichiatria di Stanford e presidente dell’American Psychiatric Association, controllava più di 6 milioni di dollari in azioni nella Corcept Therapeutics, una compagnia di cui era cofondatore e che stava sviluppando il mifepristone per il trattamento della depressione psicotica. Nello stesso tempo il dr. Schatzberg era il principal investigator di un grant del National Institute of Mental Health sullo studio del mifepristone nella depressione. Si è creata così, una classica situazione di conflitto d’interesse, in cui la stessa persona da un lato aveva interessi nella produzione di un determinato farmaco, dall’altro doveva essere responsabile della conduzione di uno studio sullo stesso farmaco. (3)
Per avere un’idea su come si realizza oggi il rapporto tra i medici, i ricercatori, gli informatori scientifici da un lato e le aziende farmaceutiche dall’altro, nonché sul modo in cui vengono percepiti alcuni temi etici legati allo sviluppo preferenziale dei farmaci ed alla loro commercializzazione, abbiamo realizzato un questionario destinato a medici, ricercatori e informatori. Esso è stato distribuito in diversi centri italiani, universitari e non universitari, con un totale di 180 medici, 62 ricercatori nell’area biomedica e 69 informatori farmaceutici. Vi presentiamo nel corso della nostra chiacchierata, alcuni dei risultati ottenuti in questa nostra ricerca.
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- Scritto da Gianluca Conversa-Maria Paola Barbaro
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