Occorre anche considerare che l’area biomedica ha una dimensione vocazionale più significativa rispetto ad altri ambiti lavorativi, per la particolarità dell'impegno che viene richiesto ai suoi operatori. Inoltre il nostro impegno di studio può (e dovrebbe) acquisire una dimensione nuova, considerando che quello che apprendiamo non è solo per noi, per la nostra cultura personale, per prendere un buon voto, ma quanto impariamo – o non impariamo – è anche una responsabilità nei confronti di chi andremo poi ad assistere in un prossimo futuro.
Esiste poi nella sfida dell’apprendimento una componente etica, un risvolto che non viene molto preso in considerazione, ma che ha più importanza di quanto sembra ad un primo approccio. Abbiamo parlato prima di divergenza tra le informazioni recepite, e di come questo possa influenzare le nostre azioni, in modo non cosciente. In questo senso le informazioni classificate come curriculum nascosto sono molto pericolose, proprio per la poca evidenza della loro ritenzione. L’ambiente, per di più, può condizionare profondamente il nostro agire, spesso siamo tentati di conformarci alla linea generale per essere accettati da chi è intorno, specie se ci si trova da subalterni o appena arrivati. Oppure può sembrarci normale adottare un modello di comportamento, solo perché è tenuto dalla maggioranza delle persone. Insomma, andare controcorrente è sempre difficile, e la società non sempre agevola o incoraggia questo modo di agire. Il rischio è di considerare normali atteggiamenti non propriamente etici, solo perché espressione della maggioranza. Ma la constatazione ha una premessa: per accorgersi che qualcosa non è etico, occorre avere un’etica e tenere sempre presente il nostro modello. Modello che si è formato nel tempo sommando molte informazioni ed esperienze. Il tema dell’etica è fondamentale, perché nel nostro agire futuro saremo certamente in contatto con problematiche di tipo etico, sia chi svolge un lavoro clinico (medici, infermieri, operatori tecnici) in reparto, sia chi svolge prevalentemente un lavoro di ricerca in laboratorio e applicata. Ma anche chi è impegnato come informatore farmaceutico, e in tutti settori dove entrano in gioco anche interessi economici e politici. In tutti questi aspetti, che permeano l’area biomedica in più ampio spettro, il comportamento degli operatori è fondamentale perché dalle loro azioni dipendono la salute e la vita di altre persone. Ecco quindi l’importanza di rapportare ogni atto con il soggetto interessato, ponendo ad esempio in relazione, nell’era dei protocolli standardizzati, la cura standard con lo status di chi la subirà, mettendosi al suo posto, non pensando solo, nell’era della medicina difensiva, a come evitare problemi legali. Oppure l’importanza di capire se il metodo e la finalità di una ricerca siano più o meno orientati ad ottenere un risultato valido.
Riassumendo, imparare a essere professionali nel proprio lavoro non è semplice, occorre tempo, impegno, dedizione, e una linea di condotta ben orientata. Non è una cosa da poco, l’errore è sempre possibile, ma conta più l’impegno che si investe, l’umiltà di riconoscere un errore e la capacità di ricominciare.
Michele Trevisan
Studente, I Facoltà di Medicina e Chirurgia
Sapienza – Università di Roma
1 Colin P West, Tait D Shanafelt: “The influence of personal and environmental factors on professionalism in medical education”, BMC Medical Education 2007,7:29
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