Le motivazioni che spingono i malati a richiedere la morte sono varie: il dolore, la depressione, la perdita della speranza, la percezione di aver perso la propria dignità, di non avere il controllo sulla propria vita e la possibilità di decisione, il sentire di essere un peso per gli altri, il bisogno di supporto sociale. La domanda di eutanasia e di suicidio assistito sono “una finestra” su un insieme di preoccupazioni (e di paure) che i malati hanno sul morire, in relazione anche al contesto sanitario in cui si muore.
Le motivazioni più importanti riguardano il dolore “in-sopportabile” e la perdita di controllo sulla propria vita. In molte ricerche si può notare che il dolore (fisico) non è il motivo più importante per richiedere la morte, anche quando viene esplicitamente indicato. Importanti sono invece la sofferenza psicologica legata ad una serie di perdite importanti (l’integrità del corpo, il suo funzionamento, il controllo) e la sofferenza esistenziale (il significato della propria vita e della morte, il legame con il trascendente, il vissuto di colpa e la perdita di speranza), che minano il senso profondo di sé.
Specialmente nelle situazioni di dolore, di sconforto e di solitudine, è la morte l’oggetto della domanda o il desiderio di non vivere più in quelle situazioni? è la dignità della vita come valore o per come viene realmente vissuta? La domanda di eutanasia, come ci ricorda Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Evangelium Vitae, ha un implicito psico-relazionale più ricco che va decodificato. “La domanda che sgorga dal cuore dell’uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte, specialmente quando è tentato di ripiegarsi nella disperazione e quasi di annientarsi in essa, è soprattutto domanda di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova. È richiesta di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno” (n. 67). Anche nel grido più disperato c’è una domanda di speranza che va colta.
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