Il consenso informato
L’ultimo comma dell’art. 35 del Codice di Deontologia medica della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO) recita: “in ogni caso, in presenza di un documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”.
Afferma il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori sanitari, nel documento Carta degli Operatori sanitari, già citato, che “nell’intervenire medicalmente su un ammalato l’operatore sanitario deve avere il suo consenso espresso o tacito.
Egli infatti “non ha nei confronti del paziente un diritto separato o indipendente. In generale, può agire solo se il paziente lo autorizza esplicitamente o implicitamente (direttamente o indirettamente)”[24]. Senza questa autorizzazione egli si attribuisce un potere arbitrario[25].
Il rapporto sanitario è una relazione umana, dialogica non oggettuale. Il paziente “non è un individuo anonimo” su cui vengono applicate delle conoscenze mediche, ma “una persona responsabile, che deve essere chiamata a farsi compartecipe del miglioramento della propria salute e del raggiungimento della guarigione. Egli deve essere messo nella condizione di poter scegliere personalmente e di non dover subire decisioni e scelte di altri[26].
Per una scelta operata in piena consapevolezza e libertà, all’ammalato va data la percezione esatta del suo male e delle possibilità terapeutiche, con i rischi, le difficoltà e le conseguenze che comportano[27]. Questo significa che al paziente deve essere richiesto un consenso informato”.
Questo significa però che fra i doveri etici, giuridici e professionali del medico rientra la necessità che la formale acquisizione del consenso non si deve risolvere in un puro adempimento burocratico, ma sia il risultato di una adeguata fase di comunicazione e interazione tra il soggetto in grado di fornire le informazioni necessarie (il medico) ed il soggetto chiamato a compiere la scelta (il paziente)[28].
E’ per questo che occorre dire basta al modo, spesso burocratico, con cui si chiede al paziente il consenso informato, illudendosi che una firma in calce a un foglio garantisca il paziente da possibili abusi e il medico da possibili imputazioni. Il consenso informato sembra rispondere a una logica di medicina difensiva più che a un diritto del malato e della sua famiglia. Il sapere su di sé e sulle proprie condizioni di salute, sia in chiave diagnostica che prognostica, aiuta il malato a prendere le giuste decisioni sul piano di cura[29].
D’altra parte anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, afferma che il consenso libero e informato del paziente all’atto medico non deve essere visto più soltanto come un requisito di liceità del trattamento, ma deve essere considerato prima di tutto alla stregua di un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino europeo afferente al più generale diritto all’integrità della persona (titolo I. Dignità, art. 3 Diritto all’integrità personale)[30].
Per completezza si ricorda anche che nel documento approvato dal Comitato Nazionale per la Bioetica nella seduta del 24 ottobre 2008 “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico” si sostiene che il paziente consapevole e cosciente ha il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari, anche quando si tratta di cure salvavita. Arriva inoltre ad affermare che il paziente ha in ogni caso il diritto ad ottenere altrimenti la realizzazione delle propria richiesta all’interruzione delle cure, anche in considerazione dell’eventuale possibile astensione del medico e dell’équipe medica[31].