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Nell’organizzazione complessa di un grosso ospedale, come quello in cui attualmente presto la mia opera professionale, la collaborazione tra diverse figure professionali rappresenta uno dei nodi fondamentali. Purtroppo può capitare che invece che una collaborazione si venga a creare una contrapposizione. Il mio primo giorno di lavoro al Niguarda mi sono sentito dire da una persona con cui avrei dovuto collaborare, che riteneva che il fatto di essere medici costituisse un handicap insuperabile; l’affermazione mi ha meravigliato ma non mi ha toccato più di tanto, anche perché la coscienza che ho di me non deriva dal fatto di essere medico, ma dall’essere anche nel mio lavoro prima di tutto un uomo, con le esigenze e le evidenze che ogni cuore umano ha. Ma quella sentenza così apparentemente senza appello mi ha dato il sentore della difficoltà che avrei incontrato nel tentativo di costruire una cordiale collaborazione.
Allora cosa fare? La cosa più importante è proprio quella di mettere il cuore nel proprio lavoro, non partire dalla affermazione di un aspetto parziale, come può essere un ruolo e il potere che ne deriva, ma dalla propria umanità, e incontrare così l’umanità degli altri e i primi che se ne accorgono sono proprio i pazienti. Ho visto così in tanti, se non in tutti, che nel tempo si sono sciolti pregiudizi e distanze. Ma si tratta di una sfida quotidiana.

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Vuole contribuire all'elaborazione di una antropologia medica che si ispira ai principi contenuti nella spiritualità dell'unità, che anima il Movimento dei Focolari e alle esperienze realizzate in vari Paesi in questo campo.


 

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