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Il secondo figlio, il tumore, le scelte controcorrente, l’aggravarsi della malattia, le porte di casa sempre aperte, la morte in un clima di festa

Era successo tutto nello stesso giorno, a sole quattro ore di distanza. La felicità di scoprire che sarebbe diventata mamma per la seconda volta e, subito dopo, il ritiro del referto dell’esame per quel nodulo al seno che diceva “positivo”: una forma di tumore estesa e molto aggressiva.

A quel tempo, Caterina Morelli ha 31 anni e solo dieci giorni prima, il 16 giugno 2012, si è sposata con il suo amato Ionata, alla presenza di Gaia, la loro prima figlia. Vivono in provincia di Firenze e lì le consigliano l’interruzione di gravidanza, per poi procedere con la chemio e la radioterapia. Lei, laureata in medicina e chirurgia, rifiuta.

Caterina, fin da ragazzina, frequenta la Gioventù Studentesca e poi il CLU (CL Universitari), ed è in quest’ambiente che trova il supporto per perseverare nella sua scelta: grazie ad alcuni medici del gruppo adulto di Comunione e Liberazione di Milano, decide di percorrere una strada di cura con più rischi ma compatibile con la gravidanza, affidandosi alle cure dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, dove si sottopone ad un primo intervento.

Nel febbraio del 2013, nasce Giacomo, e Caterina, a quel punto, inizia il suo primo ciclo di chemio, seguito da alcune operazioni e asportazioni importanti. Sempre nel 2013, si specializza in Chirurgia Pediatrica. Finalmente, il male sembra arretrare e la famiglia di Caterina e Ionata, trascorre un periodo di relativa tranquillità.

Ma nel 2015, il male si ripresenta, con metastasi diffuse al fegato, al polmone, alle ossa. La via chirurgica non è più percorribile, e Caterina è costretta a sottoporsi a diversi cicli di pesantissima chemioterapia. Comincia una fase nuova della sua vita. Con Ionata organizzano viaggi a Lourdes e Medjugorie, dove pregano per la sua guarigione, ma anche per quella di tutti. Così, il percorso di Caterina incrocia quello di tanti altri ammalati come lei, che rimangono colpiti dal quel suo modo di affrontare la sofferenza, affidandosi totalmente alla Madonna e anche con una certa letizia, come fidandosi che quello che sta vivendo è un bene per sé.

Tramite Whatsapp, condivide la sua vita di persona ammalata e tuttavia piena, non solo con gli amici della comunità, ma con tanti altri. Le porte della sua casa si aprono a persone senza tetto, disoccupate, che ospita a pranzo o a cena. Succede che nella quotidiana frequentazione della sua famiglia, tanti che hanno perduto la fede, si riavvicinino a Dio e alla Chiesa.

Poi, a settembre 2018, le viene diagnosticato un decisivo peggioramento della malattia, che si estende con metastasi anche al cervello. Tuttavia, questo non le impedisce di continuare a vivere con passione, come ha sempre fatto. Scrive, a tal proposito, don Filippo Belli, sulla rivista diocesana Toscana Oggi: «Fino alla fine, ha voluto occuparsi della casa, dei suoi amati figli, ha vissuto tutto quello che poteva permettersi di vivere, e alla grande, persino un bagno al mare a ottobre scorso, quando la malattia ormai la stava divorando. Due giorni prima di morire, ormai sfinita e incapace di muoversi, ha voluto a tutti i costi mangiare un piatto di pasta alla carbonara!».

Il 26 gennaio 2019, consapevole di quello che sta vivendo, anticipa la Prima Comunione di sua figlia Gaia. Subito dopo, hanno inizio gli ultimi giorni. La sua casa è un continuo via vai di gente. Sono tanti i sacerdoti che si avvicendano per celebrare la S. Messa nella sua casa.

Nel pomeriggio del 7 febbraio, Caterina entra in coma. Intorno al suo letto, la sua famiglia e i suoi amici la circondano, pregano e cantano, in un clima di incredibile festa, proprio come lei desiderava. Muore alle prime ore del giorno successivo.

Il suo funerale viene celebrato nella Basilica della SS. Annunziata, a Firenze, su desiderio e invito degli stessi frati che, frequentando la sua casa, hanno osservato: “qui c’è veramente un angolo di paradiso sulla terra”.

Mi piace chiudere il racconto di questa storia di forza e di vita, con le parole che Caterina pronunciò quest’estate, durante una testimonianza. È sempre Don Belli che le cita, su Toscana Oggi: «A me il Signore ha iniziato a chiedere tutto con l’inizio della vita della mia famiglia (…): l’offerta della nostra vita a Lui con il matrimonio, la diagnosi di malattia, la gravidanza di Giacomo durante i primi mesi di cura… da lì è stato un continuo di offerta, di domanda, di chiedermi cosa era più conveniente per me e i miei cari: resistere o cedere? Aspettare il mio o accogliere il Suo regno? Credere in quella promessa? Ecco che la santità per me è diventato un problema quotidiano, ma non per poter essere più pia e perfetta agli occhi del mondo (se qualcuno vuole fare a cambio con me con la mia condizione “privilegiata” di vita si faccia pure avanti che chiediamo al Signore un cambio!) ma per poter essere felice».

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Vuole contribuire all'elaborazione di una antropologia medica che si ispira ai principi contenuti nella spiritualità dell'unità, che anima il Movimento dei Focolari e alle esperienze realizzate in vari Paesi in questo campo.


 

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