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Verso un mondo senza sindrome di Down?Islanda e Danimarca si avviano ad essere i primi Paesi in cui la totalità delle diagnosi di trisomia 21 sfociano in un’interruzione di gravidanza, mentre il Belgio è diventato il primo stato europeo a farsi carico in toto del costo dell’esame del dna fetale.

Ma c’è chi mette in dubbio che la vera libertà di scelta stia in questo. 

Il 2017 può dirsi un anno in cui in Europa si sono susseguite notizie quantomeno controverse in merito alla diagnosi prenatale e alla conseguente nascita (o non nascita) di bambini affetti da sindrome di down.

Lo scorso 1 luglio il Belgio è infatti diventato il primo Paese comunitario a farsi carico in toto dei costi dell’esame del dna fetale, che consente di individuarla. Nello stesso periodo sono saliti alla ribalta dei nostri quotidiani nazionali dati non nuovi, ma forse poco conosciuti nel nostro Paese: Islanda e Danimarca si avviano ad essere i primi Stati in cui la totalità delle diagnosi di questo genere sfocia in un’interruzione di gravidanza.

In quel di Reykjavik, secondo i dati forniti dall’ospedale della capitale, ogni anno nascono al più uno o due bambini con sindrome di down su una popolazione di 335 mila abitanti, con una percentuale di aborti poco sotto il 100 per cento (le nascite riguardano quasi sempre casi non diagnosticati); mentre in Danimarca la percentuale di aborti è al 98 per cento, e anche in questo caso la quasi totalità della trentina di nascite annue è dovuta ad errori diagnostici.

In Italia, secondo l’elaborazione dei dati Istat fornita dal Ministero della Sanità, le nascite di bambini affetti da trisomia 21 sono 1 ogni 1200. Nei casi di interruzione di gravidanza non viene diffusa la motivazione, e pertanto non è possibile sapere quante di queste siano legate alla trisomia 21; tuttavia, secondo le stime dell’Associazione Italiana Persone Down (Aipd), circa il 90 per cento di tali diagnosi ha quest’esito: il che equivarrebbe, elaborando i dati dell’International Clearinghouse for Birth Defects Surveillance and Research (ICBDSR), ad un migliaio di aborti ogni anno.

Si tratta dunque, in tutta Europa, di numeri tali da porre interrogativi, sia tra chi sostiene la libera scelta, sia tra chi vede il pericolo una deriva verso una società in cui c’è posto solo per individui “geneticamente perfetti”.

Già nel 2015 Thomas Hamann, presidente dell’Associazione nazionale per la sindrome di down in Danimarca, aveva puntato il dito contro il fatto che l’opzione di non abortire non fosse nemmeno presa in considerazione a livello sociale, mentre quei pochi che decidono di portare a termine la gravidanza devono confrontarsi con il timore che i sostegni pubblici alla cura di questi bambini vengano tagliati “perché i genitori avrebbero potuto abortire”. Una sensazione che si ritrova anche nelle lettere giunte ai giornali belgi in seguito all’introduzione della diagnosi gratuita del dna fetale: secondo alcune si tratta infatti di un investimento cinico, dato che è molto più conveniente per lo Stato sobbarcarsi i costi di questo esame che quelli dell’assistenza delle persone con sindrome di down.

E c’è anche chi, poi, mette in dubbio il concetto stesso di libera scelta. Elisabeth, mamma di un bambino con trisomia 21, scrive in una lettera al quotidiano belga De Standaard: «La diagnosi prenatale deve permettere alle persone di scegliere […]. Ma possiamo ancora parlare di libera scelta? Se oggi metti al mondo un bambino con sindrome di down ti devi difendere. […].

Ho paura di una società nella quale c’è posto solo per la finta libertà di scelta, dove la ricerca spasmodica della perfezione schiaccia anche quelle persone che in apparenza sono prive di difetti […]. Se ho messo al mondo uno degli ultimi bambini con la sindrome di down, sono contenta perché non c’era ancora abbastanza pressione per impedirmi di farlo». E anche in Italia c’è chi, come Giulia (nome di fantasia) – attualmente ancora in gravidanza – alla notizia che il bimbo che porta in grembo, in base ai risultati dell’esame della traslucenza nucale, aveva un alto rischio di essere affetto da trisomia 21, ha deciso di non effettuare gli esami necessari alla diagnosi: lei e il compagno hanno deciso che, nonostante questo ed altri possibili difetti fisici che le ecografie hanno evidenziato, il bimbo (o bimba) nascerà.«E sarà quel che sarà», concludono.

DI CHIARA ANDREOLA
FONTE: CITTÀ NUOVA

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