Si possono inoltre aggiungere, in funzione dei bisogni del malato/famiglia, altri professionisti:
psicologo, assistente sociale, operatore socio- assistenziale…
Ma, se questo modello d’assistenza viene considerato il gold standard per i pazienti con malattia inguaribile, nella pratica quotidiana ha dimostrato ancora molte criticità:
• La continuità assistenziale tutti i giorni (compreso il Sabato e la Domenica) e 24 ore su 24 per medici fortemente impegnati in altre attività
• Scarsa formazione ed esperienza in cure palliative: basti pensare che in una recente indagine il 92% dei Medici di famiglia afferma di aver bisogno di formazione
• Frammentazione della cura per operatori appartenenti a servizi ed enti diversi: Medico di Famiglia, Palliativista, Infermiere di Distretto … è necessaria una elevata integrazione fra le varie figure professionali per una presa in carico unitaria del paziente
• Assenza e/o Fragilità della rete di Cure Palliative Domiciliari: i Nuclei di Cure Palliative non sono stati attivati in tutte le ASL, e anche dove sono presenti spesso l’attivazione è solo formale; se pensiamo che in Italia il 15-20% degli assistiti in Cure Palliative muore entro una settimana dall’inizio dell’assistenza, capiamo bene che se non diamo una risposta sul territorio in tempi rapidi a questi pazienti, il risultato è quello dei noti ricoveri (impropri) degli “ultimi giorni”; il paziente cioè va in ospedale solo per morire!
Molti sostengono che la fragilità dell’assistenza territoriale dipenda in primis dalla scarsità di risorse economiche destinate al territorio …
Ma, come ha dimostrato un’indagine dell’Osservatorio della Regione Veneto per le Cure Palliative (2008), i costi dei ricoveri impropri per i malati terminali sono di gran lunga superiori alle spese necessarie per garantire la copertura con le cure palliative a tutti i malati inguaribili della regione.
La “terminalità” costituisce certo un momento difficile da affrontare, tuttavia il fatto stesso di concepire la morte non più solo come un evento biologico ma come una realtà che riguarda l’intera persona e tutta la famiglia, nonché gli stessi operatori, è un passo decisivo per poter aver cura di una persona sofferente.
La famiglia è un luogo sociale e di cura complesso: le relazioni tra malato-famiglia ed equipe curante, a casa, hanno un peso molto maggiore rispetto all’ospedale … già il fatto stesso di incontrare il paziente a casa propria, nel suo letto, cambia completamente la prospettiva e le dinamiche del rapporto medico-paziente; quando la famiglia è presente, con vincoli forti, è una risorsa importantissima: malato e famiglia sono un tutt’uno: un nucleo sofferente e un nucleo di cura allo stesso tempo.
La fase del commiato, poi, è un momento cruciale se vissuto tra le mura di casa, con la vicinanza dei propri cari: qui la morte tecnologica lascia il passo all’accompagnamento e al morire come “evento naturale” della vita.
Va ricordato, inoltre, che la maniera in cui un paziente muore, rimane nella memoria di chi resta: dei famigliari, ma anche di chi l’ha curato.
In definitiva, la relazione terapeutica a domicilio deve inserirsi in un contesto di cura e assistenza che si protrae nel tempo, un “continuum” che va dall’ inizio della malattia, al momento della morte;
trova un senso in una dinamica comunicativa globale che comprende la comunicazione della diagnosi, l’adeguato trattamento del dolore e degli altri sintomi presenti, la decisione condivisa sul luogo dove morire e sul processo del morire.