La relazione medico-paziente mette in gioco la salute: è’ un patto di cura fondato sulla fiducia: quel paziente con quel medico; è un’alleanza contro un nemico comune: la malattia.
Perché, se è vero che la Medicina è una scienza, è altrettanto vero che è soprattutto un incontro tra due persone: una con le proprie competenze, l’altra con i propri bisogni, entrambi fanno un pezzo di strada insieme, come due viandanti in viaggio.
D’altra parte l’esperienza personale mi ha insegnato che, accompagnare un paziente fino al momento della morte, è una straordinaria possibilità di arricchimento professionale ed umano che segna in maniera indelebile il nostro agire di medici e di uomini.
Ma per saper “vedere” la malattia e la morte secondo questa prospettiva, bisogna fare un “salto” culturale, come ha ben espresso il filosofo contemporaneo Giuseppe Maria Zanghì, il quale afferma: “L’ uomo, oggi sta cercando una realtà nuova, più sociale, più comunitaria e d’altra parte una cultura che non sia scollegata ma intimamente legata alla vita, una cultura nuova che sia “il curvarsi in amore dell’uomo sulle piaghe-domande degli altri uomini, partecipando di esse intensamente”.
Io penso che per la Medicina odierna sia essenziale scoprire questa nuova “cultura dell’uomo-accanto all’uomo”, di riscoprire quegli aspetti valoriali per cui è nata, quell’Etica della Relazione senza la quale, altrimenti, la Medicina è destinata a morire.