In genere si è portati a credere che parlare di argomenti che riguardano la morte e il morire, possa aumentare il carico emotivo del medico e aggravare lo stress per il paziente e per i familiari. Questa convinzione spesso fa sì che operatori sanitari, parenti ed amici dei pazienti morenti si chiedano: "ma che cosa posso dire?" senza trovare risposte.
Eppure si è evidenziato che in realtà favorire una la comunicazione su questi argomenti non risulta particolarmente stressante per gli operatori e può essere di aiuto, per i pazienti e per i loro familiari [3].
La comunicazione che si instaura con il paziente, ma anche con i suoi familiari, è l’aspetto più importante dell’inter-professionalità nell’ambito dell’assistenza sanitaria. Per il paziente i familiari costituiscono un legame fondamentale con il mondo esterno, con la sua biografia personale, con i suoi valori[4]. E’ quindi fondamentale inserire la famiglia del paziente nel circuito della collaborazione professionale[5], tenuto conto che una comunicazione efficace con la famiglia può addirittura migliorare il processo clinico e gli stessi outcome[6].
Quali possono essere le strategie più adeguate? Dalla ricerca e dall’esperienza clinica se ne sottolineano alcune, quali il parlare in modo semplice e veritiero, l’ascolto, la volontà di parlare con la persona, il comunicare le “cattive notizie” con sensibilità, ma anche incoraggiare le domande, l’essere attenti a cogliere i momenti nei quali il paziente vuol parlare della morte imminente. Un aspetto fondamentale è che il medico riesca ad attuare un corretto rapporto tra l’essere veritiero e sincero senza distruggere ogni speranza. Sono queste alcune caratteristiche di una comunicazione che inizia con la diagnosi e che deve accompagnare il paziente fino al momento della morte[7].
Il processo assistenziale non si può risolvere in un protocollo da scomporre in procedure. Vi è implicata una dimensione umana imprevedibile, non standardizzabile, da giocare dentro la relazione personale, singolarmente.