Nicoletta Tinti: un’atleta bella, brava e solare. Il teatro, la ginnastica ritmica, i Giochi Olimpici di Atlanta, il sogno di diventare ingegnere. Poi la malattia. Il coraggio di ricominciare. La danza da seduta, senza sedia a rotelle. Infine…Siamo qui, sedute a casa sua, in centro ad Arezzo, a chiacchierare, come se ci conoscessimo da sempre anche se finora ci siamo sentite solo via messaggio, per organizzare questa intervista.
Mi parla del festival teatrale da cui è appena tornata, a Trani; delle prove saltate con “la Silvia”, la sua amica e collega, del suo lavoro di ingegnere civile, della passione per la danza scoppiata quando si è trasferita a Firenze, per gli studi all’università. E la ginnastica ritmica? «La ginnastica l’ho cominciata a 9 anni». Ecco cominciamo da qui, dalla ginnastica ritmica.
«A dire il vero, non ero dotatissima ma ero magrolina e tenace, e anche questo conta nello sport agonistico.
Così, ho cominciato ad allenarmi tutti i pomeriggi e a partecipare alle gare. Finché, quando ho compiuto 14 anni, è arrivato un telegramma: ero stata convocata dalla squadra di ginnastica ritmica nazionale!». Per Nicoletta è la realizzazione di uno dei suoi sogni. Così, lascia la sua famiglia e si trasferisce a Milano, dove si allena per l’esercizio a cinque. «Ero felicissima! Ma non sapevo cosa mi aspettava! Gli allenamenti, la dieta. La ginnastica è uno sport pesante, poi a quell’età! Vivevamo solo per quello». E delle volte c’erano le crisi: «Ho pianto tanto! Ma da sola. Perché la prima volta che mi sono messa a piangere al telefono con la mamma, lei mi ha detto: “Ora ti vengo a prendere e ti porto a casa!”. E così, non l’ho fatto più con lei, perché io volevo rimanere!». Ride mentre mi racconta la Nicoletta bambina, in versione atleta, le soddisfazioni delle vittorie ai mondiali e poi l’emozione di partecipare ai Giochi Olimpici di Atlanta. «Nel 1996, è stato il primo anno in cui c’era la squadra come disciplina. E così, abbiamo fatto il percorso dei mondiali per la selezione. Ma ad Atlanta, la gara non è andata benissimo e ci siamo classificate al settimo posto. Finita quell’avventura, ho deciso di smettere con la ginnastica ritmica, perché volevo vivere!» Così, ritorna a casa, ad Arezzo, e la cosa più difficile dopo che hai vissuto un’olimpiade, diventa integrarsi nella vita normale. «Avevo quasi diciotto anni, i miei amici e i compagni di scuola parlavano di cose che per me erano fantascienza: le uscite, i fidanzati, la scuola, il divertimento. Per me, fino ad allora, era esistita solo la ginnastica!». Nicoletta si diploma e comincia ad inseguire il suo sogno di sempre: diventare ingegnere civile. «Mi sono iscritta all’università, a Firenze. E oltre a studiare sentivo l’esigenza di fare sport. Stavolta, ho trovato una scuola di danza jazz». Raffaele, il suo insegnante, nota che Nicoletta è dotata, che impara alla svelta, ha capacità espressiva e gli propone di provare ad entrare in una compagnia di danza. E così, succede: Nicoletta partecipa ad un’audizione, e viene selezionata dalla Florence Dance Company, la compagnia di danza della scuola. «È stato bellissimo! Tutte le mattine andavo a teatro per le prove e il pomeriggio studiavo. Io ero abituata alla ginnastica, ad un’impostazione rigidissima anche della vita, scandita dalle gare. Invece, la danza mi ha ridato la libertà, il teatro è una cosa meravigliosa!». È il 2008, Nicoletta ha 29 anni e sta per laurearsi, e per qualche mese decide di abbandonare la danza e il teatro per dedicarsi interamente alla tesi. «Questa cosa mi è successa pochi mesi dopo, qui ad Arezzo, in una mattina di luglio. La sera prima ero stata ad un matrimonio. Verso le sei, mentre stavo ancora dormendo, sento una fitta fortissima tra le scapole, poi dei formicolii alle gambe. Lì per lì ho pensato ad un colpo d’aria alla schiena ma dopo pochi minuti ho cominciato a perdere sensibilità alle gambe. D’accordo con il mio medico sono corsa al pronto soccorso, e da lì mi hanno ricoverato d’urgenza a Siena. Quando mi sono svegliata, dopo l’operazione, mi hanno spiegato che avevo avuto un’ernia discale e che non avrei più potuto camminare». Lì per lì è una botta, ma quasi subito subentra la mentalità dello sportivo. «Ho vissuto sei mesi in ospedale, presso l’Unità Spinale di Firenze. Ho dovuto reimparare tutto: del mio corpo, della mobilità con la carrozzina, per tornare indipendente. Mi sono allenata da atleta. Anche le fisioterapiste erano stupite della mia reazione. Mentre tanti non volevano fare, – ma del resto ne va di te! – io mi davo piccoli obiettivi quotidiani da raggiungere. Non mi sono mai detta disperata». Finalmente, Nicoletta esce dall’ospedale, e ha una gran voglia di reagire, di mettersi alla prova nella sua nuova vita. Si butta anima e corpo nello studio e nel raggiungimento del suo sogno di sempre: diventare ingegnere. Finalmente si laurea, e trova subito lavoro. «Però mi mancava qualcosa. Quando ero all’ospedale mi dicevano di fare sport, che mi avrebbe aiutato a socializzare, a conoscere persone con la mia stessa difficoltà. Però, inizialmente, avevo anche un po’ paura di non risentire più quello che avevo provato in passato. Ero arrivata ad un punto della vita in cui stavo puntando su altro: il lavoro, la famiglia… Ma lì le carte si sono smazzate completamente! E dopo quei primi dubbi, ho cominciato a confrontarmi con mille cose, per capire dove volevo arrivare». Il tennis in carrozzina, lo sci, Nicoletta reimpara a guidare l’auto, e va a vivere da sola. «Poi, un giorno, mi sono trovata di nuovo a Firenze, proprio vicino alla sede della Compagnia dove avevo danzato, e mi è venuta la voglia di entrare. Non li avevo più visti. Keith Ferrone, il coreografo, appena mi ha visto è scoppiato a piangere e ha interrotto la lezione. È venuto verso di me e mi ha abbracciato sollevandomi dalla carrozzina. Le mie gambe sono impazzite! È stato veramente bello! Dopo due giorni mi chiama e dice che mi ha sognato mentre facevamo un passo a due. Così, ho ricominciato con la danza». Preparano un passo a due, Nicoletta danza da seduta ma senza la sedia a rotelle, e vanno in scena al Bargello di Firenze. È lì, che avviene l’incontro con “la Silvia”. «Silvia Bertoluzza ballava con la Florence Dance Company, la mia vecchia compagnia. Quella sera, mi ha fermato dicendomi: “Ah, ma tu sei Nicoletta!”. Mi aveva riconosciuto dai video che le avevano dato per imparare la mia parte nei balletti. Con lei, è nata una sintonia da subito!» Oggi Silvia e Nicoletta hanno messo su una compagnia insieme. Si chiama InOltre, e ne fanno parte anche cinque musicisti e altri due ballerini. Come recita il loro sito: “InOltre è un intreccio di energie travolgenti, di storie, di esperienze, ad ognuno la sua vita, il suo passato, un legame presente ed un futuro da conquistare e scoprire. […] entriamo in qualcosa che va oltre, senza limiti, proiettiamo la nostra arte verso qualcosa al di là…” Portare l’arte al di là del limite. E Nicoletta, grazie alla genialità di Silvia, è tornata anche a danzare in piedi. «Senza dirmi niente, qualche anno fa ha cominciato a progettare una struttura in ferro che mi permettesse di danzare in piedi. Ha coinvolto Davide Grementieri, un fabbro di Faenza, e così è nato GRIM, una specie di carrello che sostituisce le gambe. Quando ci sono salita per la prima volta, ho provato un’emozione indescrivibile, ho abbracciato per la prima volta Silvia da in piedi, che da seduta non è la stessa cosa!» Nicoletta e Silvia, con la compagnia InOltre, quest’estate porteranno in scena lo spettacolo Assenza nei teatri di Calabria e Sicilia. «Il messaggio che vogliamo trasmettere è che di limiti ce ne sono tantissimi, visibili, invisibili, li abbiamo tutti. Ma il primo passo per superarli è la presa di coscienza, e l’accettazione. Solo così può ricominciare la vita, che aspetta la nostra nuova essenza». Fonte: https://www.cittanuova.it