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Da leggere

La dimensione più vera

La dimensione più veraHo molti pazienti anziani e spesso mi capita che qualche anziano ammalato mi chieda titubante se sono disponibile ad accettarlo come paziente, magari perché non accettato da altri medici. È vero che ogni volta mi viene la tentazione di non prendermi carico di situazioni che so in partenza significare frequenti visite domiciliari, accertamenti e ricette in più, ma ogni volta mi rendo conto che sono proprio loro, quelli che più mi costano perché irrimediabilmente ammalati, che mi danno la dimensione più vera del mio essere medico, che ha la sua radice nella possibilità di condividere ogni giorno l’esperienza più vera e profonda dell’uomo: il dolore. 

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Santità sconosciute

santità_sconosciuteMi ero specializzato da poco in psichiatria e venni chiamato per una consulenza in un monastero di clausura. Dopo aver visto il da farsi, decisi di seguire più da vicino alcune situazioni che mi avevano presentato e cominciai a frequentare con una certa regolarità la comunità.Un giorno conobbi una strana monaca che viveva per conto suo in un bilocale del monastero stesso. Mi si presentò con un gran sorriso, ma non mi sfuggì qualcosa di “stonato” nei suoi modi e nel suo sguardo.

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Dolore e natura

Dolore e naturaJohn Zachary Young, uno degli studiosi del cervello più geniali che abbia incontrato, diceva che non ci stupiamo, e possiamo anche dirci d’accordo, se qualcuno ci dice che i muscoli e la macchina a vapore fanno lo stesso lavoro, ma resteremmo davvero molto perplessi se qualcuno dicesse che sia il computer che il cervello pensano.

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Dottore, cosa ho veramente?

cosa_ho_veramente?Ogni giorno del mio lavoro di medico di famiglia riscopro con gioia quale importanza vitale abbia per me vivere la mia giornata lavorativa puntando a costruire rapporti veri con i miei pazienti. Me ne accorgo magari in quei giorni in cui, per stanchezza o preoccupazioni personali, mi ritrovo ad aver visitato tutto il giorno con approssimazione o distrazione e mi sento vuoto, ancor più stanco, e mi viene la noia per un lavoro che mi appare monotono, ripetitivo.

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Il contatto con il paziente, formazione continua all'interrelazione

il contatto con il pazienteHo ricevuto questo invito a scrivere un breve elaborato per gli atti del congresso “Comunicazione e relazionalità in medicina: nuove prospettive per l’agire medico”.Devo riconoscere che la richiesta mi ha lasciato alquanto perplesso.In genere, sono solito badare più alle cose pratiche e pragmatiche, almeno nell’ambito dell’oncologia, che alle disquisizioni teoriche. Ho messo il tutto nel cassetto. Però un piccolo tarlo continuava ad agire, soprattutto per l’amichevole rapporto con la collega che mi aveva invitato.Così ho deciso di mettermi davanti al foglio bianco e vedere cosa succedeva. Ho scoperto che mi è molto più facile scrivere un lavoro scientifico o una relazione clinica. 

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Il dolore innocente

Il dolore innocenteQuasi quotidianamente mi trovo in situazioni in cui ogni logica umana è destinata a saltare per far posto agli interrogativi del mistero. Di fronte a bambini con difetti congeniti gravi, concepiti già ammalati e che si tenta i tutti i modi di non far nascere, intuisco spesso, e non so spiegare a parole, che questo incontro non è fortuito ma carico di significati. I bambini concepiti già ammalati mi si presentano come un grande dono per l’umanità e un occasione unica offerta agli uomini per diventare e dimostrarsi tali. Il dono di questi martiri inermi e innocenti consiste nel farci avvicinare alla vita con ottiche che esulano dal senso comune, ma che allargano gli orizzonti dello spirito.

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Relazione medico-paziente: trattamento di prima scelta?

effetti_pratici_della_comunicazione_in_medicinaGli effetti pratici della comunicazione in Medicina

Chiedersi se la relazione ha un ruolo nel conseguimento degli scopi della medicina presuppone in via preliminare la definizione di tali scopi: che cosa ci proponiamo noi tutti, ciascuno nel suo ruolo, come medici?Una risposta in termini comuni può essere: aiutare le persone a vivere di più e meglio. In altre parole, potremmo dire: ridurre il numero dei decessi prematuri e migliorare la qualità di vita.Per la loro stessa natura, questi obiettivi lasciano spazio ad un continuo miglioramento. Possiamo chiederci in quale misura oggi la medicina riesca a perseguirli.

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Rapporto medico-paziente: aiuta a guarire?

med002Non sono un esperto di comunicazione, né tantomeno di psicologia. Sono medico da 32 anni, con la precisa ed immediata scelta della chirurgia, e dell’università. Ma nella mia esperienza ci sono anche circa 13 anni di medicina di base e 10 anni di guardia medica; quelli risalenti agli inizi della mia professione, quando era necessario mantenersi in qualche modo: allora gli specializzandi non erano retribuiti in alcun modo, anzi…l’ambiente universitario era prodigo di promesse e prospettive, ma estremamente avaro in realizzazioni e risorse economiche.

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Una prospettiva della fraternità in medicina: Medicina Dialogo Comunione

Firenze_la _fraternitàAbbiamo ascoltato dagli interventi precedenti come la fraternità abbia una plausibilità scientifica, oltre che avere origini profondamente radicate nella storia e, soprattutto, nelle religioni ebraica, cristiana, islamica. L’associazione Medicina Dialogo Comunione (MDC) intende offrire il proprio contributo per una medicina fondata sul rispetto dell'uomo nel suo insieme (corporeità, spirito, cultura), con l’obiettivo di sostenere una antropologia medica basata sulla centralità della persona.

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E’difficile dirsi preparati

difficileDirsiPreparatiElena era una neonata di 4 giorni in condizioni ormai gravissime per le conseguenze di un fatto acuto imprevedibile.
Quando si è capito che non c’erano prospettive di miglioramento, per me è stato molto importante condividere con i genitori la decisione di non proseguire cure intensive che non avrebbero condotto a nulla e la necessità invece di somministrare una terapia antalgica efficace. I neonati sono infatti pazienti che non esprimono il dolore chiaramente, ma non possiamo dimenticare questo aspetto.
La sera in cui appariva ormai chiaro che Elena ci avrebbe lasciato, ho fatto un breve incontro con le infermiere di turno con me ed abbiamo deciso di attrezzare un angolo della Terapia Intensiva in modo da dare un po’ di privacy ai genitori che hanno scelto di esserle accanto fino alla fine.

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Tutto uguale e tutto diverso

EtiopiaQuando sono partita per l’Etiopia, sapevo di tornare in un luogo dove ero
già stata e questo mi sembrava un grande vantaggio perché pensavo che mi
sarei ambientata in fretta ed avrei ripreso in un certo senso dal punto in
cui avevo lasciato 4 anni fa.

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Lettera di un paziente

lettera al personale assistenziale dell' Ospedale dove è stato ricoverato, nell'ultimo periodo della sua vita

Egregi Signori,
ho avuto occasione di essere ospite della Vostra struttura per una neoplasia polmonare in stato avanzato.
Da venticinque anni la mia professione (lavoro per una società che commercializza  prodotti per laboratorio di analisi) mi ha costantemente portato a contatto con la sanità italiana, sperimentandone giorno dopo giorno il lento e costante declino sotto molteplici aspetti.Inefficienza, degrado, opportunismo, qualunquismo, superficialità, arroganza, arrivismo sono solo alcuni degli aggettivi che mi sento di utilizzare per descrivere quanto ho vissuto in questi anni ogni qualvolta ho messo piede in un laboratorio pubblico o ho avuto a che fare con l’amministrazione ospedaliera.

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Formazione e università

Devo innanzitutto premettere che, sin dalla mia prima decisione di affrontare la carriera medica, decisione sofferta perché inscritta in una tradizionale familiare alla quale volevo con determinazione sottrarmi, ho considerato la mia attività, professionale prima e dopo scientifica, funzionale a un percorso di servizio alla società, alla comunità dei lavoratori e al cittadino. Dunque ho sempre evitato il riferimento a considerazioni che ritengo viete e scontate come quelle della “missione” e dell’abnegazione al malato.La cura del malato, secondo la mia concezione che è anche sociologico-politica, è la cura di una parte della società che soffre della malattia del singolo, in termini sociali ed economici. Dunque il rapporto con il paziente è anche rapporto con la società in cui il paziente vive e lavora. In primis la famiglia che deve essere portata all’attenzione del medico come nucleo essenziale della comunicazione clinica. È nell’ambito familiare che il paziente sopporta le sue sofferenze che inevitabilmente di estrinsecano e si riverberano sulla comunità di primaria vicinanza. Se poi si tratta di una patologia trasmissibile o infettiva, tale cura comunicativa assurge a rilievo di primaria importanza. La seconda area di impatto del paziente è con la comunità di lavoro, il collettivo lavorativo, in cui si riversa l’assenza della capacità lavorativa interrotta dalla fase di malattia. A tale comunità si deve anche rivolgere il curante nello sforzo di anticipare termini prognostici e riabilitativi, atti a configurare una nuova programmazione nell’ambito dell’ambiente di lavoro.

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Il rapporto medico-paziente e il lavoro in equipe

Il rapporto medico-paziente e il lavoro in equipe


Mentre la moderna medicina, sempre più basata su metodi scientifici rigorosi (medicina delle evidenze) sta registrando risultati molto positivi in tutte le sue specializzazioni, più che mai si avverte un’insoddisfazione diffusa e crescente da parte di coloro che sono destinati a beneficiare di tali risultati: i pazienti e i loro familiari.

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L'accoglienza alla vita

L’arte di relazionarsi, proprio perché è più un’arte che un metodo, può perfezionarsi e affinarsi, ma non può essere insegnata.

L’insegnamento deve essere quello che ognuno può trovare in sé, la sua migliore capacità di relazionarsi e i migliori principi per farlo sono quelli cristiani:
la Carità come virtù dominante (1 Cor 13: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!») e il rispetto, cardine dell’amore, verso il prossimo, da applicarsi in ogni forma di contatto con il malato.

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Medicina e solidarietà

«Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me»: bellissime parole, ma come è possibile realizzarle sul piano pratico ed educativo visto l’epoca in cui viviamo?

In un periodo, come l’attuale, in cui dominano la tecnologia da una parte e il ritorno economico dall’altra, puntare esclusivamente sul messaggio etico individuale non può ormai più portare a risultati pienamente soddisfacenti.È indispensabile, invece, trovare le motivazioni giuste per discutere di una “nuova solidarietà” 1. «Nuova» perché oltre ad essere basata sui principi etico-religiosi, sappia anche trovare una giustificazione in comportamenti capaci di ottimizzare l’efficacia e l’efficienza degli interventi assistenziali realizzati non attraverso iniziative singole, ma con la partecipazione di tutta la comunità. È proprio il settore medico-assistenziale in cui risulterebbe particolarmente utile realizzare un’educazione alla solidarietà basata su risultati ottenuti da ricerche di biologia o di medicina clinica. Ad esempio, diversi studi documentano l’efficacia del supporto affettivo sul decorso di malattie comuni come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale o la malattia di Alzheimer.

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Rapporto medico-paziente: condizione di umanità

Ho iniziato la mia carriera professionale di medico in Germania e dopo aver lavorato per quattro anni in una clinica di riabilitazione della Foresta Nera, mi sono trasferito in un ospedale per acuti nella città di Offenburg. Un giorno in terapia intensiva era stato ricoverato un paziente, originario della Germania Orientale, che aveva potuto emigrare in quella Occidentale solo dopo aver raggiunto l’età della pensione; il governo della Repubblica Democratica Tedesca infatti, mentre non permetteva che nessun cittadino in età lavorativa abbandonasse il paese, favoriva l’uscita dei pensionati che ne facevano richiesta, lasciando così che fosse poi la Germania Federale a farsi carico della relativa spesa pensionistica.

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Dalle due parti della barricata: un medico paziente

Come diventai oncologo

Una mattina del 1960 volai a Montreal, grazie a una borsa di studio, frequentai il Santa Cabrini Hospital. Fu un’esperienza positiva e non solo per la mia attività professionale. I colleghi furono gentili e disponibili, ma furono soprattutto quelle sante donne delle suore ad aiutarmi nelle prime settimane. Così come la loro fondatrice aveva preso a cuore l’assistenza agli emigrati, loro presero a cuore questo giovane medico emigrante e mi insegnarono non solo a parlare un inglese corretto e fluente, ma anche che l’assistenza ai malati deve essere sia tecnica che umana… e soprattutto a colloquiare e ascoltare i pazienti…

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La relazione medico-paziente e l'handifobia

Una certezza che emerge da anni di contatto con pazienti piccolissimi è che quando il rapporto con il malato è a senso unico, sicuramente è un rapporto non corretto. In altre parole, con il tempo si impara che sia il paziente che il medico hanno bisogno l’uno dell’altro. E non in senso “moralista”, ma in senso pratico: quante cose si imparano quando si ascolta chi soffre... quante cose si vedono quando si va oltre la routine e la somministrazione rituale di medicine... Si vedono segni e sintomi che prima sfuggivano. Uno sguardo e un silenzio mostrano un disagio o un esito positivo, più di certe analisi. E da questo, il passaggio ad un vantaggio “morale” per il medico è presto fatto. Di fronte alla sofferenza di un bambino non si può non ridimensionare le proprie visioni sulla vita, orientarle in modo giusto, lavorare più alacremente: imparare ad essere dei medici migliori.

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Coltivare l'umanità

Le interazioni medico-paziente costituiscono un fenomeno sociale complesso in cui entrambi i partecipanti intervengono con aspettative reciproche. All’interno di questa trama relazionale il processo comunicativo può influenzare, in modo rilevante, la soddisfazione sia del paziente, in relazione alla visita medica, all’accettazione delle terapie e alla riduzione delle sue preoccupazioni, che dell’operatore in termini di successo del trattamento.

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Le radici della medicina

La medicina è un’arte anche in tempi di tecnologia, che è certo utilissima, ma va usata correttamente e messa a disposizione di tutti coloro che ne abbiano necessità. La tecnologia non può sostituire il rapporto medico-paziente, la visita medica e l’esperienza clinica forte. Il rischio è di contribuire ad un riduzionismo che ignora la persona come unità inscindibile di mente, corpo e spirito. Infatti, una valida antropologia curativa considera lo sconcerto umorale dell’organismo e il danno d’organo, ma anche la crisi spirituale e la sofferenza globale della persona.Ho maturato profondamente che il mio essere medico, il mio incontro con la persona malata, è nell’ambito non solo della salute psicofisica da recuperare, ma di un progetto di Salvezza che riguarda entrambi: medico e persona che chiede aiuto. Due persone che si incontrano in un momento particolare della vita…

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I medici si raccontano - Introduzione

Introduzione

di Massimo Petrini

Io sono stato creato in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato in dono per me (Chiara Lubich)

In occasione del Convegno Internazionale “Comunicazione e relazionalità in medicina: nuove prospettive per l’agire medico”, organizzato dalla Associazione “M.D.C. – Medicina Dialogo Comunione” e svoltosi a Roma presso il Policlinico “A. Gemelli” della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore il 16 e 17 febbraio 2007, alcuni docenti sono stati invitati ad offrire una riflessione su quanto avevano maturato nella quotidianità del loro agire medico e nell’edificazione di relazioni interpersonali autentiche.

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